Venti minuti di comica follia e la Roma autodistrugge il sogno Champions League
Roma-Juventus 3-4
Roma - Juventus Venti minuti di comica follia
(AGR) Quella scesa all’Olimpico non era una Juventus irresistibile e neanche il suo campionato è di quelli indimenticabili. Naturalmente, non era venuta a Roma per portare via il pareggetto – noblesse oblige! – e s’era visto che le sue intenzioni sotto sotto erano quelle di arraffare l’intera posta.
Però la Roma non s’era fatta incantare dall’atteggiamento finto-dimesso dei bianconeri ed era andata subito alla carica. Le battute iniziali della gara indicavano che la Roma andava a caccia del rilancio dopo le sberle prese a San Siro e, spinta dal suo impareggiabile tifo, ci si era messa d’impegno, tant’è che non le era andata bene, ma benissimo: Abraham aveva sbloccato al 3’, finalizzando al meglio un angolo battuto da Veretout, battendo Szczesny con uno spiazzante colpo di testa.
Le squadre erano dunque rientrate negli spogliatoi sull’1-1, la Roma godendo del generale consenso per aver disputato un buon primo tempo ed essendo in credito di un rigore – netto fallo di mano in area di De Light – che, ancora una volta, inspiegabilmente non gli era stato concesso. Su quest’episodio – vista la sua importanza vale la pena soffermarcisi su un attimo – si sono pronunciati quei soliti personaggi che gravitano negli anfratti della medialità calcistica e che non si sa bene a quale titolo, se per meriti acquisiti in campo calcistico o per presunto skill professionale, vengono definiti ‘esperti’ di calcio, cioè quella categoria di persone che, come universalmente noto, non ne azzeccano mai una, contribuendo anzi, con i loro bizzarri commenti, a creare dubbi e incertezze laddove, invece, dovrebbe esserci chiarezza e trasparenza.
Di costoro, tra le tante clamorose baggianate riferite all’episodio, che obtorto collo ci è toccato sentire in diretta, riportiamo quella, sicuramente emblematica, che vale per tutte le altre: il signor ‘esperto’ di turno, dopo aver visto e rivisto le immagini del braccio di DeLight che impatta il pallone, ha sentenziato che ‘siamo nella zona grigia del rigore’ Mah! Per il fatto che questa frase potrebbe dare adito a diverse interpretazioni, si vorrebbe che se ne spiegasse il significato all’inclita e al volgo.
Ma in definitiva, vista la chiarezza delle immagini, a chi può mai interessare quella autentica idiozia? Vale davvero la pena perdere tempo andando a scomodare la semantica? Quello dell’olandese era un fallo di mano nettissimo in area: l’azione romanista era stata interrotta scorrettamente, quindi andava sanzionato il calcio di rigore. Era un fallo involontario? Secondo il regolamento del calcio attualmente in vigore, volontarietà e involontarietà non esistono più.
E secondo illustri addetti ai lavori, laddove c’è un braccio in posizione non giustificata non c’è volontarietà ma una responsabilità colposa. Era rigore, punto e basta. Stupisce, quindi, sentire cianciare di inesistenti zone grigie, bianche o nere da chi dovrebbe invece contribuire a spazzare via immediatamente, ombre e dubbi su quanto avvenuto in campo.
A cos’altro potrebbero servire le consulenze in diretta, se non a fare chiarezza su quanto sta accadendo in campo? La non concessione del calcio di rigore è l’ennesimo atto di aperta ostilità nei confronti della Roma. Ma noi facciamo informazione, e questa sede non è quella adatta per travestirsi da Sherlock Holmes e andare a cercare i colpevoli dei continui misfatti perpetrati ai danni della Roma.
Forse, rispolverando l’eternamente attuale detto latino ‘cui prodest?’ o magari impostandola freudianamente, verrebbero fuori discrasie e idiosincrasie che sono lì, impalpabili ma terribilmente presenti. Al rientro, l’aver disputato alla grande i primi quarantacinque minuti dava alla Roma una certa consapevolezza nei propri mezzi.
Certo, il risultato in bilico imponeva attenzione e concentrazione per far arrivare in porto la navicella con il prezioso carico, semmai non standosene lì ad aspettare i bianconeri, che quello sarebbe stato un autentico suicidio strategico-tattico, ma magari andando in cerca dell’occasione per mettere la partita sui binari giusti. E l’opportunità arriva presto, al 48’, quando la sassata di Mkhitaryan, una ininfluente deviazione di De Sciglio, finisce alle spalle di Szczesny.
Di nuovo in vantaggio, la Roma batte il ferro ancora caldo: ci pensa Pellegrini che, al 53’, su calcio di punizione manda un velenosissimo pallone all’incrocio dei pali della porta juventina: 3-1 e Olimpico in delirio. Per la Roma sembra fatta. Tuttavia, nel quarto d’ora che segue il predominio romanista, pur essendo ancora significativo, va esaurendosi, la propulsione va perdendo di forza e con il trascorrere dei minuti è evidente che nel serbatoio giallorosso di benzina ne è rimasta ben poca.
Con i romanisti entrati in riserva, viene fuori la Juventus, che prende subito il sopravvento: Morata, subentrato a Kean, comincia a creare scompiglio nelle retrovie avversarie finché, al 70’, si libera di Ibanez e manda verso Locatelli che, indisturbato, insacca di testa. Trascorrono appena due minuti e Kulusevski, subentrato a Chiesa, pareggia a conclusione di una mischia in area.
È il 72’, ma il goal, vista la posizione iniziale in evidente off-side di Cuadrado, dovrebbe essere annullato. Comunque, 3-3 e Roma che stenta a raccapezzarsi di fronte ad una Juventus che ormai ci crede, eccome, alla vittoria. Questa arriva al 77 quando un pallone alto di Mc Kennie scavalca Smalling e arriva a De Sciglio che fulmina Rui Patricio sul suo palo. A questo punto, la Roma raccoglie tutte le sue forze, va all’arma bianca e all’80’ riesce a mettere un pallone alto in area che viene intercettato da De Light, naturalmente l’arbitro, tale Davide Massa da Imperia, lì a pochi metri, non vede niente, ma poi il VAR lo richiama e questi non può fare altro che fischiare il penalty e rifilare il rosso a De Light.
Pallone sul dischetto e moscia esecuzione di Pellegrini che poi si fa parare anche la respinta di Szczesny. Delusione giallorossa e tre punti alla Juventus. Gli spettacoli offerti fin qui dai giallorossi, a parte due, tre performance di alto livello, sembrano confermare che l’attuale parco-giocatori della Roma è largamente sprovvisto di elementi con una personalità che rispecchi sul campo quelli che sono gli obbiettivi della società.
Sulla base di quanto ci è stato dato di vedere finora, la mancanza di personalità è sempre sfociata in prestazioni mediocri, tali da avere come conseguenze il gettare via preziosi punti o partorire clamorose sconfitte che, di fatto, almeno per il momento hanno tagliato fuori la Roma da ogni possibile obiettivo.
Ora, ben sistemata all’ottavo posto grazie a… sé stessa, se vuole restare tra le aspiranti alle coppe europee la Roma deve pensare ad infrangere il trend negativo che dura da diverse giornate. Alle sue spalle scalpitano squadre di più che buona qualità, che giocano bene e sono vogliose di Europa, obiettivo che puntano neanche troppo timidamente.
Fatte le debite eccezioni, per i giocatori della Roma è tempo di darsi una bella scrollata, di guardarsi allo specchio e rendersi conto che, alla luce di quanto mostrato finora, il proprio livello qualitativo è in realtà mediamente piuttosto scarso, e magari andare a salutari scazzi di spogliatoio, ognuno prendendosi le proprie responsabilità.
Le performance giallorosse sono sotto gli occhi di tutti e, a parte le due splendide Roma-Fiorentina e Atalanta-Roma, di questa squadra non ci sovvengono altre indimenticabili prestazioni. È vero, il cammino è ancora lungo, la concorrenza è spietata e la qualità è poca, ma non per questo i giocatori devono mollare o tirare a campare in attesa di cambiare aria. In questo campionato, per certi versi così strano e bizzarro, ad ogni giornata ci vengono riservate sorprese. Può accadere ancora di tutto.
Non crediamo all’idiozia che sia l’ambiente romano a ‘rovinare’ i giocatori: chi è che ‘fa aria’, che ‘fa ambiente’ se non proprio loro che in quell’ambito vivono e lavorano? E allora, perché addossare colpe a chi non ne ha? La medialità fa il suo mestiere e se la squadra inciampa continuamente e di brutto con squadrette e squadroni non può certo essere colpa dei media, che sono a valle dell’evento.
Già, perché a molti sfugge il dettaglio che radio, televisioni, giornali on-line ed off-line l’evento lo raccontano, non ne sono i protagonisti. Né può essere colpa della Società o di chi li ha portati a Roma investendo milioni su di loro.
Gli addetti ai lavori fanno il loro e siccome la perfezione non è di questo mondo, può capitare che dei giocatori non rispondano alle aspettative o si rivelino del tutto inadeguati alle filosofie di gioco, o, ancora, che non riescano ad ambientarsi nella loro nuova realtà, o più semplicemente, si rivelino essere dei bidoni spacciati per fenomeni. In proposito, l’elenco degli esempi è lunghissimo. Infine, come possono essere addossare colpe ai tifosi che quotidianamente seguono, si informano, incoraggiano la squadra? Andate a seguire qualsiasi altra squadra di qualsiasi altro continente e vedrete che le tifoserie più o meno si assomigliano tutte, tutte sono accomunate dalla sconfinata passione per la propria squadra, né la loro fede vacilla di fronte a sconfitte anche cocenti.
Li abbiamo visti, i tifosi romanisti, cantare e incoraggiare i propri giocatori nonostante pesantissimi passivi di sei, sette goal e poi, disciplinatamente, abbandonare in silenzio stadi posti magari al Circolo polare Artico, tenendosi dentro rabbia e frustrazioni, ‘vittime’ di orribili e terrificanti prestazioni della propria squadra.
Dunque, come si possono addossare, presunte colpe di insostenibili pressioni a tifosi, medialità e Società per coprire proprie scialbe prestazioni, mancanza di personalità, incapacità a reagire subito ad un negativo contingente? Nel calcio di oggi, perlomeno a livello europeo, non ci sono gregari o portatori d’acqua da una parte e signorini che aspettano di essere serviti dall’altra: tutti sono chiamati a dare il proprio contributo alla causa.
Si deve giocare per la squadra, non per sé stessi. Non si può entrare in campo solo per battere punizioni o esibirsi in tacchetti e tocchetti, e poi magari sbagliare banalmente passaggi di due metri o mandare il pallone chissà dove da posizione favorevole o, ancora, sfoderare la giocata di qualità e scomparire per i restanti ottantanove minuti.
Certo, ad ogni giocatore vengono assegnati compiti ben precisi, a seconda del loro ruolo di base, ma laddove l’allenatore non può arrivare tempestivamente con le sue disposizioni tattiche, deve subentrare il mestiere, la qualità e la personalità dei giocatori via via coinvolti nelle azioni.
All’occorrenza, ogni singolo giocatore deve sapersi districare in qualsiasi situazione venga a crearsi durante la partita: ora da difensore, ora da centrocampista, ora da attaccante. Il calciatore che non si adeguasse a questi nuovi canoni, imposti dal football giocato oggi, è condannato a restare un giocatorino buono per palcoscenici calcistici ‘provinciali’, non certo per prestigiose platee che, se magari non consentono la consacrazione definitiva, possono fungere da trampolino di lancio di sfolgoranti carriere.