L’Italia è campione d’Europa dopo avere dominato e battuto l’Inghilterra a Wembley.
Storica lezione di calcio impartita agli inglesi
Italia campione d’Europa
(AGR) L’Italia è campione d’Europa. Ne prendano atto tutti coloro che non hanno mai creduto alle possibilità di questa squadra, ostentando il loro scetticismo ad ogni piè sospinto, cioè ogniqualvolta che comparivano in televisione in veste di esperti, coloro che, come universalmente noto, non ne azzeccano mai una, o sprofondando nel ridicolo con certe telecronache che oltre a sembrare più che altro rassegne del gossip riguardanti la vita privata di questo o quel calciatore, mettevano il nostro calcio, il nostro modo di fare calcio, in una posizione di subalternità rispetto a quello di altri. Specie di quello inglese. Penso agli spropositati elogi rivolti a giocatorini, che in Italia giocherebbero giusto in campionati aziendali o tutt’al più amatoriali. per un banale colpo di testa, uno scatto sulla fascia, un tiro da fuori area, tutti movimenti che qualsiasi giocatore più o meno ha, o dovrebbe avere, nel suo repertorio. Sarebbero i ferri del mestiere. Ancora ieri abbiamo avuto modo di sentirne delle belle riguardo a presunte superiorità di altre nazionali rispetto a quella italiana. Stupisce che quelle idiozie arrivino da calciatori che hanno vestito la maglia azzurra. Ma tant’è: evidentemente il concetto di collettivo è difficile da capire.
Anche le vittorie nel pugilato, il classico sport dell’uno contro uno, nascono da progetti e strategie elaborate insieme a colui che salirà sul ring. In ogni squadra ci possono essere asii e fuoriclasse migliori di altri, ma cosa sarebbero costoro se non avessero una squadra su cui contare? Ai nastri di partenza, tutte le squadre hanno possibilità di vittoria e non è detto che se nella mia squadra non ci sono assi, o ne abbia meno della tua, debba essere tu il vincitore. Il bello dello sport è proprio questo: nessun risultato è scontato. E non è corretto andare in uno studio televisivo a ribadire i propri convincimenti sebbene questi siano stati ampiamente superati dall’evidenza dei fatti, con la certezza che non essendoci contraddittorio, nessuno potrà smentire quanto è stato affermato.
Le Furie Rosse: con quelle sì che bisognava stare in campana! D’altra parte, negative esperienze precedenti della nostra nazionale proprio con gli iberici indicavano cautela e pazienza, indicavano di non andare mai sopra le righe. Però ce l’abbiamo fatta e avere superato il turno a spese dello squadrone spagnolo ha cominciato a far aprire gli occhi sulle nostre possibilità. Molti, però, hanno continuato ad esternare il loro scetticismo, il più delle volte non richiesto. Anche certi anglofili di casa nostra, a dispetto del fatto, universalmente noto, che l’Inghilterra ha vinto una sola volta, mondiale del 1966 colà disputato (non-goal di Hurst che mandò l’Inghilterra sul 3-2 ed ebbe un impatto tremendo sulla Germania, che subì poi la quarta rete), da lì in poi andando avanti vincendo con squadre di club imbottite di giocatori provenienti da altre federazioni, e allenate da mister stranieri: Ranieri, Ancelotti, Murinho, Wenger tra gli altri.
Cosa abbia spinto e tuttora spinga questi anglofili made in Italy a osannare il calcio inglese quando è ben noto che quel football è estinto ormai da tempo, quantomeno a livello di premier, semmai trovandosene traccia nella serie B locale e magari anche nelle serie inferiori, almeno per il momento non è dato sapere. Peraltro non è che interessi molto, salvo che per quella fortissima noia che provoca il continuo sentirsi ripetere da anni le stesse idiozie. Ne prendano atto, dunque (della nostra vittoria), coloro per i quali basta che un giocatore abbia un nome anglosassone, non importa da dove provenga, per essere un genio del pallone. Chi segue il calcio da parecchi decenni, come il vostro cronista, sa bene che sono ben pochi i giocatori inglesi la cui fama ha attraversato i tempi: parliamo di Stan Matthews, Billy Wright, Bobby Charlton, Beckham e qualche altro. Ne prendano atto soprattutto coloro che, al di là della Manica, ‘sentivano’ che, finalmente dopo cinquantacinque anni!, avrebbero vinto qualcosa.
Lo slogan ‘football it’s coming home’ era diventato una specie di mantra che media e tifosi andavano ripetendo ossessivamente, accompagnata dal solito companatico di interviste dove l’Italia veniva definita ora ‘una buona squadra’ ora ‘ottima’ ora ‘ ‘i migliori’, insomma il trito campionario di falsi apprezzamenti, l’ormai intrista e inderogabile cerimonia imposta dalla liturgia del prepartita, consumata prima che si compia il rito dell’agnello sacrificale. Toni e volti degli intervistati la dicevano lunga sulle loro certezze di vittoria e poi, correva il 2’ minuto, quando sono andati in vantaggio con Shaw, apriti cielo! Cercate di immaginare, amici lettori, quanti ‘l’avevo detto io che avremmo vinto’ sono usciti dalle bocche dei cosiddetti esperti, quelli che non ne azzeccano mai una, quanti ‘siamo troppo superiori’ e ‘football coming home’, ‘il calcio torna a casa’, furono urlati dal Kent al Sussex, da Londra a Manchester, da Liverpool a Hull. Ma la partita era appena cominciata. Infatti, sentito il colpo, man mano che la gara va avanti comincia a farsi strada l’idea che almeno il pareggio i nostri lo meriterebbero. Metro dopo metro l’Italia macina gioco e già nel primo tempo, fino all’intervallo, nella squadra bianca qualcosa comincia a scricchiolare.
Ma c’è ancora tanta strada da fare, vedrai che nel secondo tempo quelli cambieranno passo, si butteranno avanti per chiuderla e noi che abbiamo speso parecchio per arrivare al pareggio probabilmente dovremo starcene schisci schisci per non prenderle. Invece accade l’incredibile: è l’Italia che prende in mano la partita, il pareggio è diventato questione di vita o di morte, l’Italia chiamò. E allora eccoli lì, i nostri eroi, dare una storica lezione di calcio a quelli che qualcuno definì ‘maestri’ di questo gioco, un titolo che ormai da tempo non gli spetta più, viste le scoppole che da sempre hanno preso un po’ dappertutto. Eccoli lì i nostri Verratti e Jorginho, grandi cucinieri di centrocampo, a inventare palloni per l’eccelso Insigne, per Immobile e Chiesa, quest’ultimo un’autentica furia che neanche il velocissimo Tokyo-Nagasaki riesce a stargli dietro.
E che mi dite dei mostruosi Chiellini e Bonucci, che giganteggiano nelle retrovie, ripulendo l’area, spezzando le sempre uguali trame avversarie, proponendo nuovi temi, pronti però a dare una mano anche agli avanti come al 22’, quando Leonardo la sbatte dentro senza se e senza ma, spazzando via definitivamente le apprensioni dell’italianità sparsa nel mondo, tantissima!, e dei due esterni Emerson Palmieri e Di Lorenzo, che Mancini deve aver istruito ben bene: ‘bloccate le fasce!’ deve essere stata la direttiva, categorica, perentoria e decisiva, che il nostro condottiero Mancio deve avere impartito ai due, eseguita alla perfezione sul campo.
Raggiunto il pareggio e contrariamente a quanto costumava nel nostro calcio fino alla sciagurata gestione di Ventura – Italia in difesa a difendere il pareggetto e poi magari, col solito contropiedino o ai rigori gliela freghiamo! - i nostri hanno continuato a martellare e fino alla fine dei tempi supplementari hanno dominato l’undici inglese sia sul piano tecnico e tattico, sia su quello psico-fisico e della maggiore qualità individuale. Sale il tifo dei nostri connazionali, mentre quello indigeno, smaltita la sbornia del temporaneo vantaggio, pian piano va spegnendosi fino a ridursi a patetici ‘England, England’, buoni più che altro per cercare di rianimare i loro beniamini, ormai totalmente impotenti a contrastare i nostri. Ci si aspetta il goal liberatorio del 2-1 da un momento all’altro, che purtroppo non arriva. Allora, ecco i rigori, pathos a non finire, altra ansia, di quella brutta, e una considerazione spaventosa: vuoi vedere che la perfida Albione la sfanga ai rigori, dopo che ha fatto il catenaccio per tre quarti di partita e supplementari compresi? Dite la verità, qualcuno di voi l’ha pensato.
Però veniva pure da pensare che magari era stato proprio Mr. Southgate che sotto sotto, visto come s’erano messe le cose, gira gira sperava nella chance dei penalty… Ma no, non può essere perché ha messo dentro due punte e questo significa che vuole vincere, magari non sa bene come, ma vuole vincere. Di lì a poco, Kuipers, l’ottimo arbitro olandese che però almeno in un paio di occasioni poteva tirare fuori il giallo per due ragazzi inglesi, decreta la fine delle ostilità: ragazzi, ci sono i rigori, vediamo cosa possiamo fare. Donnarumma, tocca a te! Il nostro mastodontico Gigio si avvia verso la porta: è lì che finirò la mia carriera o è la porta verso le stelle? Mah, tutto può essere! Intanto, batte Berardi e segna, risponde Kane, il migliore degli inglesi, ed è pareggio. Il secondo rigore Belotti se lo fa parare, invece il possente Mc Guire fa goal: ragazzi, è trucida, vabbè, ne mancano ancora tre, chissà… Batte Bonucci e siamo al pareggio. Ah, ma loro ne hanno da battere uno in più… e questo Rushford tutto sembra meno che uno sprovveduto, invece vai a capire il perché questo fu astro nascente del calcio inglese la manda sul palo: 2-2 ma non è finita perché tocca a Bernardeschi che la mette dentro senza fronzoli. Un 3-2 probabilmente pagato al prezzo di qualche coronaria saltata.
Ora tocca ai bianchi battere il rigore: Sancho si accolla l’onere e Gigio para. Poi arriva Jorginho: dai mandala dentro e regalaci ‘sta benedetta coppa, ma il ragazzo, forse sentendo eccessivamente l’enorme responsabilità che grava sulle sue spalle, o forse perché il portiere Pickford s’è studiato bene il nostro regista, sta di fatto che l’estremo difensore inglese neutralizza il penalty. La miseria, questi hanno ancora un rigore da battere e se segnano qui facciamo notte… Donnarumma invece para il rigore di Saka e subito dopo si allontana dalla porta con passo lento. Sembra stralunato. Forse pensa che dovrà parare altri cinquantamila rigori prima che quella terribile tortura finisca. Sembra che non si renda conto che la sua parata ci ha regalato l’Europa! Che grazie a lui siamo all’apoteosi, siamo al trionfo italiano a Wembley, l’Europa è nostra! Quando gli si buttano tutti addosso, realizza. Siamo noi, siamo noi, i campioni dell’Europa siamo noi. I peana italiani si levano nel cielo di Wembley.
Nelle case dei nostri borghi, nelle miriadi di baretti, trattorie, ristoranti, taverne ospedali, caserme, prigioni e quant’altro, ma vogliamo includere anche conventi ed abbazie, si fa festa sguaiatamente, misuratamente, in qualsiasi modo possibile. Nei cieli d’Europa svetta il nostro glorioso Tricolore! Siamo Campioni con pieno merito. Gli inglesi fanno presto a sgombrare Wembley: non sia mai detto che restiamo qui ad assistere al trionfo italiano! Piuttosto, dopo aver fischiato l’inno, andiamo a picchiare quei cialtroni e bruciamo le loro bandiere, e poi andiamo sui social ad insultare i ragazzi della nostra nazionale che sono di etnia africana o caraibica. Sarebbero questi delinquenti i rappresentanti di quello che un tempo veniva chiamato ‘il paese dei deboli’? Da questi episodi, più che il tanto strombazzato fair play emerge solo schifosa vigliaccheria.
FIFA e UEFA dovrebbero correre ai ripari e chi se ne frega del blasone o se lì hanno inventato il calcio moderno. E siamo proprio sicuri che il nostro Presidente della Repubblica, Mattarella, non abbia potuto essere salutato dal principe William, a causa della forse fin troppo eccessiva sollecitudine della security? In merito alle motivazioni accampate per il mancato saluto di commiato abbiamo forti dubbi, propendendo piuttosto per una principesca rosicata, di quelle che non andranno mai via. Peraltro, trattandosi del secondo episodio del genere, guarda caso verificatosi sempre in coincidenza con una vittoria italiana – ricordiamo che nel 2006, l’allora presidente della FIFA lo svizzero Blatter, dimenticò, disse lui, di salutare giocatori e rappresentanti del nostro calcio, freschi di titolo mondiale conquistato qualche minuto prima. Mah, diciamo che sono solo coincidenze bizzarre. Dal punto di vista qualitativo e tecnico, andando a rivedere i match del campionato europeo c’erano almeno sei squadre qualitativamente superiori all’Inghilterra: Spagna, Rep. Ceca, Austria, Portogallo, Belgio, Svizzera e Danimarca e proprio quest’ultima avrebbe dovuto essere la vera finalista, non l’Inghilterra. In proposito, non temiamo di essere smentiti.
Dunque, cosa significa il gesto delle medaglie strappate? Ma come, non erano loro quelli del self-control? In definitiva, quel gesto ha fatto crollare radicate e false credenze sull’impertubabilità inglese che non verrebbe scalfita neanche nelle situazioni più critiche, secondo la vulgata. Era ora! La vittoria della nostra nazionale ha dato ancora più forza all’Italia, corroborandone la sua unità, ha aperto strade all’ottimismo che fino a qualche settimana fa era impossibile pensare di poter percorrere, ha spazzato via tante nubi di pessimismo e di rassegnazione al peggio che si erano addensate e ristagnavano nei nostri cieli da circa due anni. Giusto, dunque, il trionfo che Roma ha decretato ai nostri moderni eroi! Come ai remoti e gloriosi tempi di Roma, quando le armate vittoriose con alla testa i loro generali sfilavano tra due ali festanti di folla, così i nostri ragazzi hanno attraversato l’Urbe tra applausi, canti e acclamazioni, accompagnati praticamente fin sotto le loro camere da migliaia e migliaia di romani, residenti e stranieri, di ogni età e condizione sociale. È certo che da lassù, coloro che sono stati strappati ai nostri affetti si sono uniti al tripudio della nostra amata Italia.
Grazie ragazzi!