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L’Italia Donne fuori dal Mondiale: Ora si impongono scelta di livello in ambito managing e di conduzione tecnica

Calcio. Mondiale donne: Italia-Sudafrica 2-3

printDi :: 05 agosto 2023 20:34
L’Italia  Donne fuori dal Mondiale: Ora si impongono scelta di livello in ambito managing e di conduzione tecnica

(AGR) Una premessa, seguiamo il calcio donne da tempo immemore, fin dagli anni settanta. Abbiamo assistito al suo declino nei decenni successivi, stagioni in cui sembrava che parlare di calcio-donne nel nostro paese era come raccontare mediocri barzellette, di quelle che alla fine ride solo chi le racconta. In quegli anni, oscuri per il movimento calcistico femminile italiano, noi, amanti a tutto tondo di questo sport, avevamo l’impressione che il calcio femminile italiano fosse sparito definitivamente, annientato da odiosi ghetti culturali, da bizzarri pregiudizi verso e contro le donne, che peraltro permangono ancora oggi, da strani riferimenti a non si sa bene quali demenziali punti di vista secondo i quali le donne, in quanto debitrici di costole, non possono essere poste sullo stesso piano dell’uomo.

Insomma, mentre in occidente il calcio-donne andava affermandosi come sport di massa e le stelle USA, Germania, Svezia, quelle anglosassoni e dell’Europa del nord brillavano ogni giorno di più nel firmamento calcistico, qui da noi era grasso che colava se si riusciva a mettere insieme non solo un campionato degno di questo nome, ma addirittura una squadretta femminile di paese. Potete perciò immaginare, amici lettori, come noi, sviscerati fan di questo meraviglioso gioco, abbiamo assistito alla rinascita del calcio- donne in Italia, al suo fantastico exploit ai mondiali del 2020 e alla sua definitiva consacrazione con la partecipazione agli europei del 2022! Purtroppo, pur avendo gettato solide basi per il futuro, quella splendida ed ininterrotta cavalcata del calcio-donne italiano, dopo la per certi versi inaspettata uscita dell’Italia dal mondiale-donne, ha segnato il passo.

 
Da appassionati di calcio quali siamo da sempre, analizzeremo quanto abbiamo visto ed esporremo con franchezza i nostri punti di vista. Lungi da noi qualsiasi vis polemica e scevri da acredine e insofferenza verso qualcuno, quanto andremo a scrivere sarà dettato unicamente dall’amore per la squadra azzurra e per ciò che essa rappresenta. È ben noto a tutti, o quantomeno a molti, che nel calcio, come anche nel corso delle vicende che caratterizzano il personale ed il quotidiano, ci sono i momenti dell’applauso, del giubilo coinvolgente e quelli della critica. E questa, la critica, non può che essere accettata serenamente da chi la subisce, a patto, naturalmente, che essa non trascenda i limiti del rispetto e scada nel dileggio e nell’insulto gratuito. Il concetto base dal quale muoviamo è che è proprio la critica, il dibattito, il libero gioco dialettico, il confronto delle idee che fa muovere le cose: senza la dinamicità e la vorticosità che quegli elementi posseggono, avremmo una società isterilita, ferma alla preistoria, lì lì per trapassare.

Lavorando, si può sbagliare e capita che quando crediamo di aver creato un’opera d’arte, ti arrivano siluri da tutte le parti che smantellano la tua fatica in quattro e quattr’otto. Anche nel calcio è così: un allenatore, un direttore tecnico riesce a mettere su una squadra e magari è convinto di avere creato leggende come il Brasile di Pelè, il Barcellona di Guardiola, il Real Madrid di Di Stefano, l’Argentina di Maradona, l’Olanda di Cruiff, poi, invece, al primo impatto, prende legnate a non finire. Menomale, però, che nel calcio, anche se il risultato finale rimane scolpito nel tempo, c’è sempre la possibilità di rifarsi, ribaltare la negatività, il peso della cocente delusione che un risultato sfavorevole si porta dietro, con tutti gli strascichi collegati. A patto, però, che si abbia il coraggio di cambiare, di analizzare la sconfitta e scoprire la sua origine. Ma serve serenità, serve accettare il vedersi puntare il dito contro: quante volte abbiamo visto allenatori e commissari tecnici essere osannati dopo aver infilato due, tre vittorie di fila e poi, dopo altrettante sconfitte consecutive, essere buttato giù dal piedistallo, quando non addirittura esonerato. La debacle italiana al mondiale donne non parte certo dalla sconfitta con il Sudafrica, ma è la conseguenza, a monte e a valle, di scelte tecniche e strategico-tattiche sbagliate. Tra le altre: l’inserimento nella lista delle azzurre di giocatrici non all’altezza della situazione o prive della necessaria esperienza, che poi, con i loro errori piuttosto grossolani hanno determinato la sconfitta sul campo e la conseguente eliminazione dell’Italia; l’incapacità da parte della panchina di saper leggere la partita, cioè di saper cambiare in corsa modulo tattico e atteggiamento della squadra nei confronti dell’avversaria di turno.

Dispiace dirlo, ma l’Italia ha giocato male tutte e tre le partite: contro l’Argentina, i pezzi da novanta, a parte Girelli, che poi risolse la gara a nostro favore, non furono schierati, e sconosciamo il perché. Tuttavia, la sorte ci fu propizia, sebbene quella fosse una partita da zero a zero che l’Italia giocò contratta, timorosa, senza mordere. Forse la scelta di schierare quell’Italia così inedita era dettata dal fatto che qualche giorno dopo avremmo dovuto incontrare la titolata Svezia, ma, a gioco lungo, quella ipotesi si è rivelata del tutto infondata, perché anche contro le scandinave fu schierata, più o meno, la stessa squadra: anche lì abbiamo visto un’Italia che sembra cotta fin dai primi minuti, che prende tre goal su calcio d’angolo in sei minuti e quando ti aspetti che faccia una ripresa quantomeno dignitosa, arriva invece il quarto gol, e poi, a corollario, il quinto, a suggello di una prova altamente mediocre. Nella terza partita, a quel punto la più importante, fin dal primo minuto Bertolini schiera una teen-ager la cui esperienza calcistica si limita a una dozzina di presenze nella primavera della squadra in cui milita attualmente, il Barcellona: inesperta com’è, la Dragoni è un pesce fuor d’acqua: sì, magari riesce anche a destreggiarsi, ma nel complesso non risulta mai essere così determinante né in fase di costruzione, né in fase di interdizione, né, le rare volte che ci arriva, in fase di conclusione.

Un calcio di rigore trasformato da Caruso all’11’ ci manda in vantaggio, ma le sudafricane capiscono che l’Italia non c’è: e mentre la Bertolini, insaccata nel giubbotto, fa su e giù nello spazio riservato antistante la panchina, nessuna indicazione alle azzurre in campo, la coach delle nostre avversarie si sbraccia a più non posso: andate avanti, fate girare palla, alzate il ritmo, quelle, le italiane, sono sulle gambe: le ragazze eseguono e, spingi spingi, al 21’ un errato rinvio di testa di Linari fa arrivare il pallone a Moodaly che non ci pensa su e spara terrificante ma fortunatamente per le azzurre, Durante a farfalle, la bomba si infrange sul palo e, ormai disinnescata, schizza lontana dalla porta italiana. Naturalmente, quel più che eloquente avviso ai naviganti viene ignorato. Intanto, le sudafricane continuano a premere, ma attenzione, non è una supremazia tattica o tecnica quella delle ragazze avversarie, ma è che le nostre sembrano impacciate, sembra che il timone sia stato fracassato dalla cannonata di Moodaly.

La pressione avversaria aumenta con il trascorrere dei minuti: libere di scorrazzare in lungo e in largo, percepito che l’Italia gioca col freno tirato, le sudafricane ci credono e di lì a poco, al 32’, arriva il pareggio di… Orsi: l’azzurra, palla al piede è nella propria trequarti, nessuna delle avversarie la disturba, dalle immagini sembra evidente che non sappia cosa fare: in realtà, avrebbe due opzioni: un paio di passi in avanti e poi scambiare, oppure il lancio lungo diretto a cercare Giacinti, invece la Orsi si gira di scatto e, senza guardare, tira forte all’indietro in direzione della propria porta, ritenendo che Durante sia rientrata tra i pali, invece l’estremo italiano è ancora a terra e la porta è vuota, del tutto incustodita. Goal incredibile: ipotizziamo che nemmeno le sudafricane credano ai loro occhi assistendo alla corsa del pallone verso la porta azzurra. Non vogliamo tirare in ballo l’yips o qualcosa del genere perché siamo convinti che nell’occasione è mancata la comunicazione tra Orsi e Durante: già, perché se è vero, come è vero, che il difensore del Sassuolo s’è inventata quella follia, è pur vero che, comunque, la propria porta non deve mai rimanere incustodita. Il che significa che Durante, terminato il suo coinvolgimento nell’azione di poco prima, doveva rientrare subito in porta, non restarsene seduta sul prato.

Bene, tant’è. Abbiamo assistito a follie ben peggiori (Coppa campioni gettata via dopo essere andati in vantaggio ai rigori, un paio di scudetti svaniti per troppa presunzione, altra coppa campioni persa dopo essere stati in vantaggio per 3-0 e altre amenità del genere…), pertanto, non ce la sentiamo di gettare la croce addosso a questa o a quella: semmai lì, oltre alla non comunicazione tra portiere e difensore c’è stata l’inesistenza di uno schema di gioco vero e proprio (se mi trovo a gestire palla cosa devo fare? Come devo muovermi? Eccetera). Ma è ben noto che gli schemi di gioco te li deve dare l’allenatore o l’allenatrice ed è ancora il coach o la coach che ti deve insegnare a come stare in campo, a come uscire dalle situazioni che ti si presentano durante la partita. Costruire una squadra non è soltanto mettere insieme undici giocatori o giocatrici e mandarli in campo a la buena de Dios, come sembra sia stato fatto con la nostra nazionale femminile, ma è, soprattutto, darle una struttura, un’anima, una personalità, far crescere la consapevolezza.

Pensare di aver costruito una squadra di livello semplicemente facendo 1+1 è puro avventurismo. Meglio restare a casa. La ‘politica dei blocchi’ dà i suoi frutti se poi si riesce ad amalgamare il gruppo. Costruire un gruppo, una squadra, significa amalgamarne le varie componenti non in modo meccanico ma tenendo nella dovuta considerazione le peculiarità tecniche di ciascun componente del gruppo e dei loro club di appartenenza. Vogliamo essere più chiari: nel gruppo della nazionale italiana femminile sono converse due principali componenti: le giocatrici della Roma (8) e della Juventus (9) e atlete provenienti da altri club (Inter (1), Milan (1), Fiorentina (2), Sassuolo (1), Barcellona (1).

Poiché nel corso del campionato è risultata del tutto evidente la differenza di gioco tra Roma e Juventus, a coach Bertolini e ai suoi assistenti si è presentato proprio quello: il problema dell’amalgama del gruppo, che naturalmente non sono riusciti a risolvere, ovvero hanno cercato di risolverlo, ma nel modo sbagliato: ripudiando, cioè, tanto il gioco della Roma - fatto di scambi veloci, giocate di prima, circolazione di palla ora sul modello Barcellona di Guardiola ora con giocate di fascia e conseguenti traversoni a tagliare il campo orizzontalmente più o meno alla sua metà – quanto quello della Juventus, più ‘duro’, concreto, con ripartenze veloci e lanci lunghi a pescare preciso le avanti. È successo, invece, che, pur avendo un’infinità di tempo a disposizione (più di un mese: non vi sembra un po’ troppo?) per cercare e trovare una sintesi tra i due modi di giocare (ecco l’amalgama di cui sopra), la coach e la sua compagnia hanno pensato bene di restare ben ancorati al calcetto fallimentare giocato agli europei 2022, il cui risultato fu l’ultimo posto nel girone e conseguente muto ritorno a casa tra lacrime e facce tristi. Nel seguito, naturalmente la Bertolini non s’è dimessa e ai piani alti del sistema calcio italiano nessuno ha pensato all’esonero. Sono logiche che non comprenderemo mai.

La partita prosegue e al 67’ arriva il vantaggio sudafricano con Magaia ma poco dopo, con la buona sorte che sembra ancora dalla nostra parte, al 74’ l’Italia pareggia con Caruso. L’entusiasmo dura poco perché, corre il 92’, Magaia sfugge ancora a Orsi e la mette per Kgatlana che infila comodamente, mandando a casa l’Italia. Alla vigilia di questo mondiale, assistendo a partite anche tra squadre di livello, era nostra convinzione che la nazionale azzurra femminile non avrebbe sfigurato, magari piazzandosi tra le prime otto. Le premesse per arrivare a quell’affermazione di grande prestigio c’erano tutte: tecnica, qualità delle singole giocatrici, voglia, volontà di centrare l’obiettivo non mancavano di certo.

In sede di scelte definitive, la certezza era che la coach Bertolini si sarebbe orientata sui blocchi di Roma e Juventus, inserendo, a completamento dell’organico, elementi di sicura affidabilità di Inter, Milan e Fiorentina. Invece, già leggendo l’elenco definitivo delle convocate, nascono perplessità: inspiegabile perché lasciare a casa Sara Gama, capitana e difensore centrale della Juventus, classe ’89, giocatrice di pura caratura tecnica e di forte personalità, una ormai consolidata esperienza internazionale, preferendole in quel ruolo chiave Elena Linari, difensore della Roma, classe ’94, che in campionato in più di un’occasione ha avuto incertezze, mal gestito situazioni non così critiche rinviando fuori misura o debolmente o peccando di eccessiva lentezza nelle ripartenze. A questo proposito, appare piuttosto eccessivo il soprannome affibbiatole non si sa bene da chi (‘The wall’). Sì, è anche lei difensore, ma nello scorso campionato l’abbiamo vista impiegata più da esterna sinistra che centrale, tra l’altro avendo a supporto la grandissima fuoriclasse austriaca Carolina Wenninger. Inspiegabile, ancora, perché lasciare a casa Valentina Bergamaschi, classe 1997, capitano del Milan: instancabile difensore, mediano che all’occorrenza si fa vedere anche ai venti metri, una di quelle che non molla mai, di cui più e più volte abbiamo ammirato determinazione, precisione e correttezza degli interventi.

Inspiegabile, infine, lasciare a casa Lisa Alborghetti, classe ’93, esperienza da vendere, tenace centrocampista dell’Inter, di cui è capitana, e Flaminia Simonetti, altra dinamicissima centrocampista della squadra nerazzurra Dalla lista delle ragazze rimaste a casa, abbiamo tratto i quattro nomi la cui esclusione appare alquanto clamorosa, a dir poco, alla luce non solo del loro trascorso calcistico, che, esclusa la Simonetti, è stato coronato con la fascia di capitano della squadra in cui giocano, ma anche e soprattutto visto quanto e cosa hanno combinato le scelte definitive. Ipotizziamo che le quattro esclusioni siano state dettate dall’età, ma, come universalmente noto, da che mondiale è mondiale, a contribuire in modo decisivo alla vittoria della propria squadra sono proprio i cosiddetti veterani, quelli cioè che hanno più esperienza calcistica, che sanno fiutare l’aria che tira in campo, che capiscono al volo il valore dell’avversario di turno, che sanno stare in campo, magari aggiornando di tanto in tanto, nel corso della gara, le scelte iniziali o nel prosieguo della panchina.

Anche in questo mondiale, la tendenza a utilizzare elementi dall’esperienza consolidata è stata confermata: in non poche partite abbiamo visto schierate in ruoli-chiave giocatrici ben oltre le trenta primavere, che hanno fatto valere alla grande la loro sconfinata esperienza accumulata sui tanti campi al di qua e al di là dell’Atlantico. Venendo invece alle ragazze che hanno fatto parte della spedizione azzurra, se nel reparto attacco le scelte definitive della coach Bertolini sono state indovinate, già in quelle di centrocampo la scelta di inserire Giulia Dragoni, classe 2006, non è apparsa così felice. La ragazza è attualmente in forza al Barcellona, ma, stando alle statistiche, la prima squadra non l’ha mai vista, avendo giocato una dozzina di partite con la squadra ‘b’, universalmente nota come ‘la cantera’. Se l’esordio in prima squadra non c’è stato, ci sarà pure un motivo, che forse potrebbe essere sfuggito ai selezionatori azzurri. Ci si è chiesti perché la Dragoni sia stata aggregata alla comitiva azzurra pur non avendo mai giocato partite di livello? È stato considerato il fatto che la ragazza, non giocando in Italia, probabilmente del nostro calcio-donne ne sa ben poco, magari giusto quello che le è stato raccontato? E quand’anche quelle considerazioni fossero state fatte, è stato valutato il livello di esperienza internazionale della giocatrice, che a occhio e croce, vista la sua giovanissima età, non dovrebbe essere così vasta?

Giocare un mondiale magari non vuol dire avere un Dna da fenomeno, che di quelli sembra che al giorno d’oggi scarseggino un po’ dappertutto, ma impone di avere tanta, tanta esperienza, saper stare in campo, leggere le situazioni prima che si verifichino. Nel ruolo di centrocampista, oltre alla Dragoni coach Bertolini e il suo staff avevano la possibilità di operare scelte tutte di livello avendo a disposizione diverse opzioni (Alborghetti, Simonetti, Piemonte) che, almeno dal punto di vista dell’esperienza, erano più affidabili della Dragoni. La scelta definitiva, invece, è stata quella di mandare allo sbaraglio una ragazza di neanche diciassette anni d’età. Relativamente alla difesa, le scelte definitive di coach Bertolini appaiono all’altezza.

Anche nell’allestimento di questo reparto, lo staff tecnico ha operato secondo la logica dei blocchi. Resta quindi un mistero l’inserimento di Benedetta Orsi nella lista definitiva: ma come, lasci a casa la grandissima Bergamaschi, capitano del Milan, autentica guerriera a tutto campo, e porti una giocatrice la cui esperienza internazionale probabilmente è di là da venire? Veniva da pensare che l’aveva portata lì giusto per fare numero e magari, a qualificazione certa, l’avrebbe mandata dentro per farle dire, un giorno, c’ero anch’io. Invece, nella partita decisiva, cosa ti combina la Bertolini? Mette dentro la sassolese e quella la ricompensa prima buttandola nella propria porta, così regalando il pareggio al Sudafrica) e poi, al 92’ facendosi scappare Magaia che la lascia lì con un giochetto di gambe e poi la mette doce doce per Kgatlana che l’appoggia in rete. Amen.

Torno a dire, che sebbene le responsabilità dei goal subiti siano indiscutibili, non ce la sentiamo proprio di mettere alla gogna le giocatrici che sono state mandate in prima linea pur non avendo completato il necessario percorso di formazione e senza la necessaria esperienza internazionale. Semmai, in questo senso, le responsabilità di queste scelte vanno ricercate altrove. Non abbiamo assolutamente certezze che questa triste uscita dell’Italia donne dal mondiale, che segue quella, altrettanto triste, dall’europeo del 2022 induca a cambiamenti nel nostro sistema calcio. Cambiamenti che, in primis, dovrebbero investire gran parte del brain-trust e del managing. La sua attuale struttura granitica, che poggia su equilibri ben consolidati, lo impedirebbe.

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