Italia-Macedonia del Nord 0-1 – L’Italia domina ma la Macedonia del Nord vince
(AGR) L’Italia non parte male: già al 3’ Emerson manda oltre la traversa e dopo che, al 5’, Trajkowski viene fermato al limite da Mancini, l’Italia prende in mano le redini del gioco e per almeno un quarto d’ora gli azzurri operano diverse incursioni chiudendo cross o concludendo direttamente: Insigne, Berardi, Emerson tentano reiteratamente la soluzione personale ma senza fortuna. La Macedonia del Nord, ermeticamente chiusa nei propri cinquanta e passa metri, azzarda nulla di nulla, giusto un pallone timidamente lungo di Nikolov per S. Ristovski, che il ragazzo non sa come utilizzare, e un minuto dopo, al 17’, un tentativo di fuga di Ristoski M. frustrato da Mancini. Da qui, fino alla fine del primo tempo, l’assedio italiano è costante ma la porta macedone resta inviolata. L’occasione più clamorosa ce l’ha Berardi che al 30’ trova modo di gettare via un goal già fatto: il portiere ospite Dimitrievski rinvia male e corto, praticamente sui piedi del sassolese che, in area, calcia un diagonale debole che l’estremo difensore riesce a bloccare.
Nel prosieguo del tempo, Insigne, Verratti e Immobile tentano più volte. Aiutata anche da imprecisione e precipitazione azzurra, la Macedonia riesce a restare a galla. A credito degli uomini di Milevski un tiro dal limite di Trajkovski che appare più velleitario che altro. Nessun cambio nell’intervallo. Ricomincia l’assedio degli italiani. Per lunghi tratti di gara la differenza tecnica e qualitativa nei confronti degli avversari è talmente evidente da far pensare che tra le due squadre corra almeno una categoria di differenza. Anche il pallone è sotto stress, tant’è che al 3’ deve essere cambiato perché si è sgonfiato.
Sarebbe stata una vittoria striminzita ma strameritata, arrivata sul filo di lana a compensare, se non altro, le tante occasioni mancate e a punire, giustamente, la condotta rinunciataria o quasi della Macedonia del Nord. Ma nel calcio i se e i ma contano nulla: devi fare goal, quanti più possibile, almeno uno più del tuo avversario: piaccia o non piaccia, è questa l’inderogabile quanto inflessibile legge del calcio. Almanacchi e cronache di partite anche remotissime sono piene di episodi simili. Ne sono la testimonianza diretta e inoppugnabile. Oggi siamo qui a scrivere di una partita persa, di una sconfitta che ci è costata la qualificazione al prossimo mondiale in Qatar.
A frittata ormai fatta, quanto può servire a consolare le moltitudini dei tifosi italiani, o quantomeno cercare di attenuarne l’amarezza, tirando fuori il carico delle responsabilità dell’eliminazione che spetterebbero a questo o a quello? In concreto, quali colpe sarebbero da addossare al nostro sistema calcio? A suo tempo, cioè all’indomani della eliminazione dal precedente mondiale, chi ha preso in mano la gestione del nostro football si è accollato enormi responsabilità. Si trattava di far uscire il nostro calcio dagli inevitabili impasse psicologici che una eliminazione di quella portata si trascina dietro, bisognava che il nostro calcio riacquistasse fiducia e consapevolezza nella propria forza. Quei due elementi, infatti, erano venuti a mancare nel corso di quelle bizzarre stagioni della nostra nazionale, sfociate, nel 2010 e nel 2014, nelle meste e ingloriose uscite dal mondiale subito dopo la prima fase, e nel 2018 nella non partecipazione, causa eliminazione nella fase di qualificazione. Eliminazione che tuttavia, era facilmente identificabile con nome e cognome e soprattutto dagli indecorosi spettacoli offerti dalla nostra nazionale, che scaturivano dalle sgangheratissime scelte tecniche. Infine, la nostra nazionale doveva essere affidata a un direttore tecnico vero, di caratura internazionale. La scelta, caduta su Mancini, è stata felicissima: grazie a lui, la gente, non solo i tifosi, si è riavvicinata alla nazionale.
Belle partite, ben giocate, che non avevano niente a che vedere con le molte performance tremebonde della precedente gestione tecnica, tantissime vittorie a formare una lunghissima sequenza ormai passata alla storia e, a coronamento della rinascita calcistica italiana, è arrivato il titolo di Campioni d’Europa. Scusate se è poco! Coloro che hanno raccolto l’eredità della precedente amministrazione si sono rimboccati le maniche e hanno vinto tutte le sfide. Anche oggi, come ieri, chi amministra e gestisce le fortune del nostro calcio, è chiamato, direi quotidianamente, a rispondere a vecchie e nuove sfide che arrivano dai fronti sportivo, economico-finanziario, sociale e mediatico. Come noto, la struttura del nostro sistema-calcio poggia su solide basi centrali e periferiche che assicurano e gestiscono al meglio le sue attività sul territorio e in campo internazionale. Da quelle articolazioni nascono, chiamiamole così, istanze che cercano, e a volte esigono, risposte anche a breve termine, anche urgenti.
Come tante altre simili, esistenti in altri paesi, quella del calcio italiano è, almeno attualmente, una struttura complessa che per raggiungere i propri obiettivi a breve, medio e lungo termine, ha bisogno di una sintesi, cioè di una gestione capace di centrarli o quantomeno di inserirsi nella rosa ristretta delle concorrenti o, ancora, di avvicinarcisi il più possibile. Nel tempo, il nostro calcio ha dimostrato di avere trovato quella sintesi. Il trionfo all’Europeo non è arrivato per caso, ed è proprio il frutto di quella sintesi. Il calcio italiano è sulla strada giusta per tornare a primeggiare tra le eccellenze di questo bellissimo gioco: può sembrare paradossale affermarlo, specie nel momento in cui si preferirebbe scrivere più della prossima partita della nostra nazionale che di quella precedente.
Dunque, non servono né i piagnistei di rito, né trasformarsi in tanti Sherlock Holmes che vanno a caccio dei chi e perché dell’eliminazione della patria calcistica, né tantomeno lanciare campagne mediatiche pro o contro: sarebbero solo panacee a effetto temporaneo. Mancini ha dato una personalità e un gioco a questa squadra: semmai c’è da vedere quanto convenga tenere nella rosa degli azzurri e azzurrabili elementi che ancora contro la Macedonia del Nord, hanno ampiamente dimostrato di avere un livello tecnico e qualitativo piuttosto mediocre. Tra i giovani emergono brillanti realtà, in alcuni casi tali da imporre il loro impiego in nazionale al più presto. Alternare, rimpiazzare, avvicendare, salutare definitivamente: è arrivato il momento. E Mancini è l’uomo giusto. Oggi sono in parecchi a sapere giocare a calcio. Le squadre-materasso si contano ormai su una mano, quindi non c’è da stupirsi se la squadretta batte lo squadrone facendo un solo tiro in porta Cambio di mentalità, dunque, anche da parte di certa medialità per la quale qualsiasi avversario dell’Italia è il Brasile di Pelè, Didi, Djalma Santos o l’Argentina dei Luque, Kempes, Passarella, Ardiles o Maradona. Intanto, voltiamo pagina, guardiamo avanti e andiamo a vincere contro L’Argentina nella finalissima Campioni d’Europa contro Campioni d’America. Avanti, Italia!