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Il campionato italiano oltre la pandemia

Il calcioe italiano supera paure, incertezze e ritrosie e si rilancia.

printDi :: 06 agosto 2020 15:56
Il campionato italiano oltre la pandemia

Il campionato italiano oltre la pandemia

(AGR) (AGR) Risultati della 38ma giornata: Atalanta-Inter 0-2, Bologna-Torino 1-1, Brescia-Sampdoria 1-1, Genoa-Verona 3-0, Juventus-Roma 1-3, Lecce-Parma 3-4, Milan-Cagliari 3-0, Napoli-Lazio 3-1, Sassuolo-Udinese 0-1, Spal-Fiorentina 1-3.                                                                                                                                                       

Classifica finale: Juventus 83, Inter 82, Atalanta 78, Lazio 78, Roma 70, Milan 66, Napoli 62, Sassuolo 51, Verona 49, Fiorentina 49, Parma 49, Bologna 47, Udinese 45, Cagliari 45, Sampdoria 42, Torino 40, Genoa 39, Lecce 35, Brescia 25, Spal 20.

 
In effetti, a ben guardare, contrariamente a quanto affermato dai tanti ‘esperti’ di calcio, di cui il nostro paese è ricchissimo, non è stato un campionato tirato avanti per onor di firma, ma anzi, sebbene se ne intravedessero gli esiti già in prepandemia, nella sostanza, mediamente, le performance offerte sono state di buon livello. Nel giudicare, nella sua interezza, la qualità dello spettacolo andato in scena si tenga presente lo scenario in cui esso si è svolto e allora si dovrà convenire che, in quella condizione psico-fisica, non certo ideale, in cui le componenti tradizionali sono venute a trovarsi, e nella quale le restanti gare sono state disputate, le performance degli atleti, dei tecnici e degli arbitri sono state più che accettabili, di buon livello, si potrebbe dire.

Vista la situazione in cui è stata giocata la gran parte del girone di ritorno e il modo in cui è stato portato a termine, due peculiarità che lo hanno contraddistinto facendone un campionato che passerà agli annali per la sua indiscutibile unicità, vale la pena di buttare giù qualche considerazione.

Al triplice fischio di chiusura dell’ultima partita in programma, che decretava la fine del campionato, potrebbe darsi che qualcuno abbia tirato un sospiro di sollievo, seguito da un liberatorio ‘menomale’, che non lasciava dubbi sulla sua avversione per questo sport, ma si può essere certi che gran parte di coloro che, viceversa, amano il calcio, siano entrati in crisi di astinenza da football, come normalmente accade quando cala il sipario sui vari campionati. Molti appassionati di calcio, quantomeno i più arrabbiati, quelli cioè che vorrebbero calcio ininterrottamente, che vivono di calcio, e nel nostro paese ce ne sono, un’estate così piena zeppa di partite probabilmente potevano solo sognarla.

Da che calcio è calcio, luglio è sempre stato il mese dei ritiri: svolti di solito in amene località, andavano avanti per un paio di settimane, talvolta anche più, accompagnati da frotte di tifosi plaudenti e festanti che puntualmente decretavano il tutto esaurito delle tante strutture alberghiere locali. In quei quindici giorni, ai propri beniamini veniva perdonato il liscio in difesa, il tiro sbilenco, quello ben oltre la traversa, con pallone che talvolta si perdeva nei boschi circostanti, il colpo di testa mal indirizzato, la parata incerta, la giocata egoistica e quella precipitosa. Inoltre, i nuovi arrivati venivano accolti come se fossero lì da sempre e messi a loro agio dagli applausi scroscianti che ne sottolineavano questo o quel movimento con e senza palla. Costoro allargavano a dismisura il consenso tra i tifosi appena acquisiti, convincendo anche quelli più scettici sull’utilità del loro arrivo, ora con quella finta, ora con quel tiro. Squadre locali, rabberciate alla meglio mettendo insieme boscaioli, camerieri dell’albergo e giocatorini locali, facevano da sparring-partner. Erano partite, si fa per dire, che servivano agli allenatori giusto per provare schemi, inserire i nuovi arrivati, accertare il grado di condizione atletica del parco giocatori. Ad agosto, invece, venivano disputate amichevoli anche contro quadre di nome, buone per ‘trovare’ la squadra o quantomeno abbozzare una prima rosa, per poi arrivare alla messa a punto finale proprio in prossimità dell’inizio del campionato. Ecco, nel prepandemia funzionava così. In una sorta di liturgia consolidata, la spasmodica attesa dei tifosi, sapientemente alimentata dai media specializzati, a fare da contorno, tutto era proiettato verso il fischio d’inizio del nuovo campionato.

Quest’anno, luglio e qualche giorno di agosto sono invece serviti per portare a termine il campionato e quando ne è stato deciso il proseguimento fino all’ultima giornata, di proposte sul come procedere ce ne sono state diverse e tutte più o meno fattibili. Se fossero rimaste da disputare due, tre giornate e i distacchi fossero risultati incolmabili, probabilmente il torneo sarebbe stato sospeso definitivamente. In tanti, addetti ai lavori e non, avrebbero applaudito a quella decisione definendola ‘piena di buon senso’. Di certo, non sarebbero mancate lunghe code giudiziarie. Invece mancavano dodici giornate alla fine, più della metà del girone di ritorno! Decisamente troppe per interrompere la competizione: a chi assegnare lo scudetto? Chi avrebbe disputato le coppe europee? Quali squadre sarebbero retrocesse in serie ‘B’? Quali, invece, sarebbero salite in serie ‘A’? Dando un’occhiata alla classifica dopo la 26ma giornata, l’ultima disputata nel prepandemia e tra l’altro incompleta perché c’erano da recuperare quattro partite della 25ma, salta agli occhi che il campionato era ancora tutto da giocare, sebbene i piazzamenti finali fossero, grosso modo, delineati per pacchetti di squadre, diciamo così: in alta classifica c’era il quartetto Juventus, Inter, Atalanta e Lazio, che lottava per la conquista dello scudetto, poi andato alla Juventus, mentre, nelle posizioni di rincalzo, Roma, Napoli, Milan sono apparse ben presto come le più accreditate per partecipare alla prossima Europa League. In coda, a parte Brescia e Spal, il cui campionato, visti i risultati, era piuttosto compromesso, la lotta per la salvezza coinvolgeva diverse squadre, anche blasonate. Qui, il verdetto finale, arrivato proprio all’ultima giornata, ha condannato il Lecce alla retrocessione e consentito ai tifosi genoani di tirare grossi sospiri di sollievo. Esiti finali a parte, dunque, alla 26ma giornata, con trentasei punti a disposizione, in testa e in coda tutto era ancora possibile.

Se il pericolo che il contagio del virus si allargasse a macchia d’olio diffondendosi ovunque nell’ambiente, toccando atleti, addetti ai lavori e persone non legate a quel mondo, il pubblico in primis, portava acqua al mulino dei favorevoli alla sospensione del campionato, anche le argomentazioni addotte da coloro che ne auspicavano la ripresa erano solide e convincenti. Secondo costoro, dal punto di vista strettamente sportivo, una volta approntati nuovi standard di prevenzione, quali, ad esempio, sottoporre gli atleti a controlli specifici, elaborate nuove procedure di allenamento, stabilite regole di controllo dell’ambiente, il campionato avrebbe potuto riprendere. Peraltro, affermavano, sottoporre gli atleti a continui controlli sarebbe rientrato nella normalità e non sarebbe stato così dispendioso. D’altra parte, concludevano, se si vuole portare a termine il campionato quella dei nuovi standard era una conditio sine qua non.

Dal punto di vista economico e finanziario, invece, in termini di contratti da rispettare, scadenze, investimenti, impegni di vario genere e quant’altro, ballavano tantissimi soldi. La sospensione definitiva del campionato avrebbe comportato remissioni certe per società sportive, indotto e media. Considerando l’importanza, non certo secondaria, che lo sport, il calcio in particolare, riveste nell’economia e nella finanza del nostro paese, è facile immaginare quale impatto devastante su occupazione e investimenti avrebbe avuto l’interruzione dell’attività sportiva. Certo, decidere di tenere la gente fuori dagli stadi poteva essere economicamente doloroso: come non pensare ai riflessi negativi che quella decisione avrebbe avuto su bilanci, budget e investimenti di tante società?

Il gran lavoro dei media, che sono riusciti a coprire tutti gli eventi (gare, pre e post partite, interviste, servizi), può essere servito a tenere su la voglia di calcio e probabilmente ad aumentare il numero degli appassionati di questo magnifico sport, magari avvicinandone di nuovi, e forse ha fatto recuperare, in qualche misura, parte degli introiti che le società hanno perso per la mancanza di spettatori.

Tra gli appassionati, la valanga ininterrotta di partite arrivata sui teleschermi potrebbe aver incontrato parecchi consensi, c’è da scommetterci. Tuttavia, la scelta di distribuire le partite quasi quotidianamente deve essere considerata solo una misura temporanea, dovuta all’emergenza virus, e in nessun caso deve diventare prassi costante. Ma un ritorno a modelli prepandemia appare del tutto impensabile. Il ritmo ‘convulso’ in cui sono state distribuite le dodici giornate che restavano, ha una sua ragione d’essere se si pensa alle scadenze che, oltre quelle economico-finanziarie, incombevano e incombono, sul calcio, non solo quello di casa nostra.

Voltata pagina con la conclusione dei campionati, ora il sistema calcio si trova di fronte ad altre importanti scadenze: in Europa, tanto per restare nel nostro continente, la UEFA (l’organismo cui fanno capo tutte le federazioni calcistiche europee) deve recuperare il campionato europeo, non disputato a causa della pandemia, devono essere riorganizzati e calendarizzati i corposi tornei continentali tenendo conto delle date dei vari campionati e coppe nazionali.

Allargando il discorso, poiché è facile supporre che anche le strutture calcistiche degli altri continenti si troveranno di fronte a problemi analoghi, la F.I.F.A. (l’organismo mondiale cui fanno capo le federazioni calcistiche dei cinque continenti), considerando la presente realtà sociale, tuttora pesantemente condizionata dal coronavirus, dovrà elaborare procedure aggiornate, adeguate, che aiutino e supportino sia i produttori di calcio, sia gli staff tecnici e medici, sia, infine, i calciatori, che di questo sport ne sono i veri interpreti. Un gran lavoro di resettaggio attende la F.I.F.A. e tutte le federazioni calcistiche ad essa affiliate. Per forza di cose, la ristrettezza dei tempi a disposizione impone di procedere a marce forzate.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    

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