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DIEGO ARMANDO MARADONA

La scomparsa dell'ASSO argentino

printDi :: 01 dicembre 2020 15:57
Diego Armando Maradona

Diego Armando Maradona

(AGR)  Che dire di questo calciatore che, praticamente dai primi anni ’80 fino alla sua morte, ha occupato gran parte della nostra quotidianità sportiva? A pochi giorni dalla sua scomparsa, ampi spazi mediatici sono occupati dalla figura di Diego Armando Maradona. Sportivi o meno che siano, sono tantissimi i media che ne tratteggiano la figura, modificandola si può dire di giorno in giorno con l’aggiunta di particolari, aneddoti e testimonianze, di fatto contribuendo ad alimentare il mito e la leggenda dell’Asso argentino, ormai saldamente radicati tra le masse di tutto il mondo, non solo argentine e napoletane.

Mito e leggenda guadagnati sul campo, letteralmente, con le sue imprese sportive, e, nel sociale, con le sue decise prese di posizione. In ambito sportivo, sappiamo tutti quale eccelso livello di tecnica e intelligenza calcistica possedesse, a quali inarrivabili vette abbia rappresentato il calcio, tanto che non basterebbe una settimana per raccontare i suoi goal, sia quelli che ha realizzato e quelli che ha inventato realizzandoli con i piedi o la testa di compagni di squadra.

 
Magliette con la scritta ‘Maradona’ o con la sua immagine ne abbiamo viste un po’ dappertutto: Napoli, Buenos Ayres ma anche Londra, Dubai, Melbourne, Cape Town, Bangkok, Tokyo: Diego Armando Maradona apparteneva veramente a tutti. Indossare la maglietta con l’immagine di Diego, per ragazzini e ragazzi che giocano a pallone in ogni angolo del mondo, era come ricevere un’investitura.

Quella maglietta era una specie di corazza che trasmetteva un po' del suo genio calcistico e dava invulnerabilità.

Non è nostro compito andare a cercare il ‘chi è’ dell’uomo Maradona: altri l’hanno fatto e lo faranno. Sappiamo però chi era il Maradona calciatore.

Nei nostri occhi rimangono, indelebilmente impresse, le immagini dei suoi tanti goal-capolavoro. Le sue finte ubriacanti, i suoi dribbling in piena area di rigore avversaria, circondato magari da due, tre avversari.

Nel corso della sua storia, il calcio ha decretato la gloria per pochi geni: costoro ‘erano’ la squadra per la quale giocavano, ne erano l’anima: Alfredo Di Stefano era il Real Madrid e la Spagna dei Puskas, Gento e Santamaria, Pelè il leggendario Brasile dei Djalma Santos e poi Rivelino, Best il Manchester United, Cruyff l’Olanda e l’Ajax del calcio totale e scusate se ne dimentico altri: una galleria di pochi eletti cui, spetta di diritto l’aureola dell’immortalità, calcisticamente parlando.

Diego Armando Maradona entra di diritto in questo ristrettissimo Pantheon.

Non c’è da dubitare che tra trent’anni si parlerà ancora delle sue imprese sportive. Maradona era il calcio.

Ne era, allo stesso tempo, quintessenza, sublimazione e sintesi Personalmente, ho sentito per la prima volta il nome di Maradona nell’ormai lontano 1978, quando me ne parlò in termini entusiastici un collega argentino.

Nel corso della conversazione, alla mia domanda sul perché il Direttore Tecnico Cesar Luis Menotti non l’avesse incluso nella rosa dei partecipanti all’imminente mondiale, mi rispose che anche lui, come tanti altri argentini, era sorpreso da quella decisione. Io ribattei che se non l’aveva incluso voleva dire che quel ragazzo non era poi cosi forte.

‘Vedrai, vedrai cosa è capace di fare con il pallone quel ragazzino’ concluse il collega.

Quanto avesse ragione è sotto gli occhi di tutti. Grazie Diego. Ciao. Riposa in pace.                                         

                                                                                                                                                          RENATO BERGAMI

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