Derby romano allla Lazio
La squadra biancoceleste punisce severamente, abulia e indolenza dei giallorossi, con un meritato 3-0.
Derby romano allla Lazio
(AGR) (AGR) Il tabellino della partita:
LAZIO (3-5-2): Reina; Luiz Felipe (24' st Patric), Acerbi, Radu (38' st Hoedt); Lazzari, Milinkovic, Leiva (20' st Escalante), Luis Alberto, Marusic, Caicedo (20' st Akpa Akpro), Immobile (38' st Muriqi). A disp.: Alia, Furlanetto, Armini, Parolo, Lulic, Pereira, Correa. All.: Simone Inzaghi.
ARBITRO: Orsato di Schio.
MARCATORI: 15' pt Immobile (L), 23' pt Luis Alberto (L), 22' st Luis Alberto (L)
NOTE: Ammoniti: Milinkovic, Radu, Acerbi, Luiz Felipe, Leiva (L); Mancini, Smalling, Pedro, Mkhitaryan (R). Recupero: 2' pt, 6' st.
È stato un derby che la Lazio ha vinto meritatamente. Fin dal fischio d’inizio, la squadra biancoceleste ha mostrato la sua voglia di aggiudicarsi la stracittadina e ha centrato l’obiettivo, facilitata anche dall’abulia generale con la quale gli avversari hanno affrontato il match e una spiccata indolenza che qualche giocatore giallorosso ha evidenziato per tutta la gara, non preoccupandosi minimamente di nasconderla o quantomeno di attenuarla.
Prima del match, la Roma era terza in classifica, e, visto il programma della giornata che prevedeva lo scontro diretto tra Internazionale e Juventus, la vittoria, magari coincidente con un risultato favorevole scaturente da quella partita, avrebbe comunque voluto dire un consolidamento della posizione con prospettive di ulteriori balzi in avanti. Tuttavia, anche questa volta, al momento decisivo la Roma si è persa, consolidando così una tradizione che si perde nel tempo, secondo la quale al salto decisivo questa squadra non riesce mai a superare l’asticella, sebbene essa non sia posta ad un’altezza proibitiva. Per qualche oscura ragione l’asticella cade, impedendole di entrare in zona podio. Di questi accadimenti sfavorevoli, che potrebbero essere definiti ‘simili’ per dinamica temporale, se ne trova documentazione in almanacchi datati ma anche andando non molto a ritroso, in campionati recenti, nelle vicende giallorosse.
La Lazio veniva da una buona striscia e risalire la corrente era tra le sue priorità. Nelle premesse, dunque, ci si aspettava una bella battaglia, magari con tanti goal, sebbene giocata in uno stadio malinconicamente vuoto per i noti motivi. Ciò che invece ci è stato dato di vedere è stata una gara che la Lazio ha dominato in lungo e in largo per tutta la sua durata, non concedendo agli avversari né ripartenze, né proposte di gioco, né, addirittura, l’avvio di azioni. Il pressing asfissiante operato sui portatori di palla giallorossi, in qualsiasi zona del campo essi fossero, ha fatto sì che ogni proposta di gioco dei capitolini venisse strozzata sul nascere, e i fraseggi fossero interrotti se non immediatamente, di lì a qualche secondo.
Quando si perde così, è inutile stare lì a rimuginare, a recriminare, a tirare giù le solite chiacchiere da bar. Nella fattispecie, non serve sottolineare, come hanno fatto molti tifosi, che il primo goal è stato regalato per una disattenzione difensiva, che il secondo era in fuorigioco, eccetera eccetera. È evidente che, per buona parte, il ‘merito’ della disfatta giallorossa va equamente ripartito tra coloro che sono scesi in campo solo fisicamente, lasciando chissà dove la giusta e indispensabile concentrazione, necessaria in qualsiasi azione si svolga, e la panchina. Le già citate abulia e indolenza hanno inciso non poco sulla sconfitta della Roma, quantomeno ne hanno propiziato l’accadimento. Se il tanto osannato trequartista, fulcro del centrocampo giallorosso, sbaglia passaggetti facili facili o effettua improbabili lanci con palloni che vanno a finire in curva, esegue punizioni che puntualmente vanno altissime oltre la traversa o a lato, quando non centrano nemmeno lo specchio della porta o finiscono sulla barriera, o, ancora, quando perde palla, il che gli succede abbastanza di frequente, invece di inseguire l’avversario, per cercare di riconquistare la sfera, si ferma e allarga le braccia in attesa del fischio dell’arbitro, che puntualmente non arriva, essendo arcinoto che un direttore di gara non fischia su altrui ordinazione, significa che, per quella partita, quel giocatore non ne ha, e se il contesissimo bomber effettua il suo primo tiro a cinque minuti dalla fine della gara, dopo che per tutta la partita non ha fatto che vagare qua e là per il campo invece di darsi da fare entrando nel vivo dell’azione, facendo movimento continuo per disorientare i suoi marcatori, cercando di conquistare palla, magari andando a cercarla anche nelle retrovie o infilandosi tra le maglie avversarie, vuol dire che la condizione psicofisica non c’è, e allora è meglio inserire forza fresche.
Saltati i due principali punti di riferimento a centrocampo e in attacco, salta tutto l’impianto: il primo, non rientrando, o comunque rimanendo fuori dall’azione, facilita l’avanzata avversaria, il secondo, invece, rimanendo là impalato, avulso dal gioco, invece di spostarsi a destra e sinistra, magari portando via due o tre uomini o andando sulle fasce e aprendo varchi in attacco per l’inserimento dei compagni, di fatto risulta essere un corpo estraneo alla squadra.
Mister Fonseca ci ha messo un bel po’ prima di accorgersi che Pellegrini e Dzeko erano fuori del contesto, e quando l’ha fatto era ormai troppo tardi, la partita era del tutto compromessa. I due andavano sostituiti molto prima, già nel primo tempo. Lentezza ed evanescenza di Pellegrini andavano rimpiazzate dalla voglia di Cristante che, insieme a Veretout, avrebbe assicurato senza dubbio quella dinamicità necessaria al centrocampo romanista. Come si è visto, il mister ha effettuato altre scelte, lasciando in campo un inesistente Pellegrini e sacrificando Veretout, che, nella generale mediocrità della performance fornita dalla squadra, qualcosa di buono aveva fatto vedere. Dzeko, a sua volta, andava sostituito dopo averlo visto arrancare appresso all’avversario di turno almeno un paio di volte, presto desistendo, palesando di fatto una evidente mancanza di condizione. Sullo svantaggio di due goal, era ancora possibile raddrizzare la barca, a patto di velocizzare il gioco, cambiare decisamente passo, rinchiudere gli avversari nella loro metà campo. Di uomini a disposizione ne aveva e comunque, vista l’imprendibilità di Lazzari e l’ottima vena di Luis Alberto e Immobile, che giostravano alla grande in lungo e in largo, avrebbe dovuto rendersi conto che nell’assetto qualcosa non andava e, di conseguenza, procedere tempestivamente ad operare gli opportuni aggiustamenti. Cosa che, è avvenuta solo per Pellegrini, quando è stato rilevato da Pedro ad inizio ripresa, mentre Dzeko è rimasto in campo fino al triplice fischio, di fatto frustrando le aspettative dei tantissimi tifosi che ne auspicavano l'uscita. A parte i due già citati, punte d'iceberg della disastrosa performance della Roma, già nel primo tempo andavano cambiati almeno un altro paio di giocatori.
Non è certo questa la sede per dotte dissertazioni psicoanalitiche sulle cause dell’andamento così altalenante della squadra. Si può, tutt’al più, azzardare l’ipotesi che ci sia qualche giocatore disturbato dalle voci di mercato o altro, ma, eventualmente, sarebbero motivazioni comportamentali un po’ troppo deboli, se non proprio banali e, per certi versi, irrispettose. Se in pieno pathos agonistico, più che a giocare, a strappare palmo a palmo terreno all’avversario, a cercare di vincere, si pensa a battere cassa o a quale sarà o potrebbe essere la prossima destinazione, vuol dire che non c’è né professionalità, né, soprattutto, rispetto per i compagni di squadra, per la proprietà e per i tifosi. Fortunatamente, nella storia del calcio, sono tantissimi gli esempi di calciatori che, già con la valigia in mano, hanno dato prova di altissima professionalità e soprattutto di lealtà facendo fino in fondo il proprio dovere.
Alla luce della severa sconfitta subita dalla squadra che lui ha messo in campo, Fonseca non può cercare di svicolare: come ha potuto non rendersi conto fin da subito che, punti di forza imprescindibili della Lazio, Luis Alberto, Manuel Lazzari e Ciro Immobile sono i terminali, i riferimenti cui affidarsi per l’elaborazione, lo sviluppo e la finalizzazione delle manovre e, ancora, come ha fatto a non capire, magari facendo tesoro delle esperienze acquisite nel campionato scorso, che, con i tre al meglio della condizione psico-fisica, sono dolori per chiunque? Riguardo ai tre, qualche annotazione a margine. Per Lazzari, per esempio, non è esagerato affermare che diventerà un pilastro della Nazionale, Ciro Immobile è decisamente un altro giocatore rispetto ai tempi delle paludose esperienze tedesche, e infine trovatemi un allenatore che non vorrebbe Luis Alberto tra i suoi giocatori. Quanto i tre siano essenziali alla Lazio ce ne siamo accorti un po’ tutti, da diverso tempo. Fonseca, invece, è andato dritto per la sua strada e nemmeno quando Lazzari seminava ripetutamente il difensore di turno, Luis Alberto era di qua e di là a distribuire palloni, a lanciare idee di gioco, rispettosamente guardato a vista dai giallorossi, e Immobile si trovava continuamente a poter andare avanti, pallone tra i piedi, e arrivare al tiro, è sembrato che mr. Fonseca si rendesse conto che stavano per arrivare gli schiaffoni, che di lì a poco ci sarebbe stato il cedimento strutturale dell’impianto. Fonseca, insomma, ha sbagliato partita. Poiché non è la prima volta che gli capita – vedi le sonore sberle di Napoli e Atalanta – è possibile, anzi più che probabile, che siano ormai in parecchi ad aver capito il suo gioco e con un girone di ritorno così pesante come quello del nostro campionato è tempo che proceda alla risistemazione dei vari pacchetti, rivedendo strategie e tattiche, magari cambiando laddove necessario, pena il finire più giù dello scorso anno, con tanti saluti alla Champions League, e, da parte sua, a Roma.