Derby alla Lazio. Ma senza Dybala, la Roma è ben poca cosa.
Coppa Italia: Lazio-Roma 1-0
Coppa Italia: Lazio-Roma 1-0
(AGR) Il primo tempo del derby è giocato a buon ritmo. Non un grande spettacolo, Le squadre pensano soprattutto a non prendere goal, più che a realizzarne. Il gioco si svolge in prevalenza nelle zone di metacampo. Forse, per la Lazio, l’atteggiamento tattico è dettato dalle assenze di Immobile e Luis Alberto, i pezzi da novanta a disposizione di mr. Sarri, e del bravo portiere titolare, Provedel, tutti elementi imprescindibili della Lazio attuale; ma non può essere considerato un atteggiamento rinunciatario, trattandosi, piuttosto, di sopperire a pesanti rinunce, come, appunto, quelle del bomber e del talentuoso centrocampista spagnolo. Nella Roma, Pellegrini è, sì, in panchina, ma non è ancora al meglio, il che lascia supporre, come in effetti avverrà, un suo impiego nella seconda parte di gara. E nel sistema tattico-strategico mourinhiano si sa cosa significhi, per la Roma, l’assenza di un centrocampista di quel calibro.
In attacco, pur avendo Dybala al suo fianco, in funzione, cioè, di punta d’appoggio, Lukaku arriva sempre secondo, o non ci arriva affatto, sui palloni, pochi per la verità, che gli arrivano. In realtà, è a Zalewski che vengono delegati compiti di piazzare palloni in area: grandi sgroppate, quindi, del tiburtino-polacco, anche apprezzabili dal punto di vista estetico, ma poco produttive, visto che quei palloni o sono fuori misura o vengono catturati dai difensori laziali. Sono i due pacchetti di centrocampo a fare la partita, a cercare sempre il corridoio giusto dove indirizzare il pallone o per andare direttamente. Ma dopo i primi quarantacinque minuti, il risultato è fermo sullo 0-0, a testimoniare il grande equilibrio tra le due. Al rientro in campo, la Roma si ripresenta senza Dybala.
Lo sbagliare troppi passaggi, anche corti e facili, il non trovarsi al posto giusto cioè là dove arriva il pallone, l’essere quasi sempre preceduto dall’avversario, il perdere i duelli: sono queste le indicazioni che ci hanno indotto a classificare la prova del giallorosso come negativa. Stentiamo a capire perché questo giocatore venga reputato, da più parti, un top-player. Anche in questo derby di Coppa Italia il suo apporto è stato del tutto, o quasi, marginale: Di fatto, mentre Paredes, Cristante e Bove si dannavano l’anima per cercare di assicurare alla squadra continui punti di riferimento, indispensabili per produrre gioco e tentare di mettere questo o quel compagno in condizione di sganciarsi o battere a rete, Pellegrini, come sempre schierato nel ruolo di centrocampista offensivo, ha totalmente disatteso le aspettative: lui, che avrebbe dovuto essere il fulcro del gioco romanista, non poche volte è stato visto trotterellare ben lontano dall’azione.
Bene, parte la ripresa e dopo che al 47’ Rui Patricio compie un mezzo miracolo su un colpo di testa ravvicinato di Vecino su preciso cross di Felipe Anderson, arriva il rigore per la Lazio: Huysen, fresco di maglia giallorossa, nel tentativo di intercettare un pericoloso pallone in area colpisce il piede di Castellanos: è chiaro che si tratta di un contatto del tutto fortuito, un contrasto di gioco, piede contro piede, come ce ne sono tanti in ogni partita, non c’è quindi fallo, tuttavia l’arbitro Orsato, sentite le interminabili lamentele dei bianco-celeste va al VAR, dopo di che indica il dischetto agli undici metri. Il rigore viene battuto da Zaccagni, che realizza. Lazio in vantaggio. Subito il goal, la Roma non reagisce come ci si aspetterebbe, anzi, si capisce che la botta è stata fortissima. La squadra giallorossa, col trascorrere dei minuti va disunendosi, in alcuni tratti di gara sembra sfaldarsi, sfilacciarsi.
Da parte Roma ci vorrebbe una reazione energica, altro che quella lentezza nel partire e ripartire, ci vorrebbe un tirarsi su le maniche, un guardarsi in faccia per dirsi ‘daje regà…’: nulla di tutto questo arriverà mai dalla squadra giallorossa Eppure, non è che la Lazio faccia chissà cosa: semplicemente, fa la sua partita, ma appare più matura rispetto all’avversaria, più esperta, addirittura, nel gestire questo tipo di situazione. Dalla sua essendo in possesso di una grande serenità. La Lazio appare compatta, ben messa, sciolta nello svolgere le sue trame di gioco, minacciosa ogni volta che si affaccia alla trequarti difensiva dell’avversaria. Nella sua organizzatissima solidità in tutti i reparti, la squadra biancoceleste se la mena tranquilla, senza timori o ansie per eventuali iniziative romaniste, contenendo le residue puntate avversarie e gestendo il vantaggio senza patemi d’animo, null’altro aspettando se non il triplice fischio di chiusura.
Invano Mourinho cercherà di mischiare le carte, cambiare questo e quello, inserendo punte al posto di difensori in un frenetico che rasenta l’isterico gente che va gente che viene inventato dalla panchina giallorossa quando ormai la gara è compromessa se non proprio dal punto di vista del punteggio senz’altro da quello psicologico: la Roma ha ormai perso di lucidità e quei tentativi di rabberciamenti, per le ragioni già esposte e per quanto si vede in campo, appaiono inutili, pateticamente velleitari; in sintesi, arrivare al pareggio, a lucidità ormai andata e ad assetto ormai privo dei necessari punti di riferimento, per la Roma equivarrebbe a scalare un quindicimila. Tuttavia, all’87’, il pallone è nell’area laziale, Lukaku, in rovesciata, manda fuori di poco: è il primo ed unico tiro in porta della Roma in tutta la partita! Un po’ poco per cercare di raddrizzare la gara. Ma se quella bellissima rovesciata avesse avuto il suo epilogo con il pallone in fondo al sacco della porta laziale, per la squadra romanista sarebbe stato un obbligo andare in pellegrinaggio al Divino Amore.