All’Olimpico, pareggetto con rischio
Roma – Bodo Glymt 2-2
(AGR) Da questo ritorno di Conference erano in molti ad aspettarsi qualcosa di più da parte della squadra giallorossa, qualche alternativa da parte dell’allenatore, tanto per rendere agli avversari i sei goal presi all’andata, una impennata d’orgoglio.
Bastava vincere con il minimo scarto per attenuare il bruciore delle sei sberle norvegesi, per mettere al sicuro il primo posto in classifica e non dover correre il rischio di andare a spareggiare con una delle otto che caleranno dalla Coppa Uefa.
E nella Roma, di calciatori appartenenti a questa categoria ce ne sono, eccome! Una brutta partita, dunque, che nella sua prima parte, più che il ritorno della disastrosa trasferta norvegese, sembrava il terzo tempo di quella disfatta – ma come, non era ancora finita, là tra i fiordi? – con i norvegesi a correre, inseguire, smarcarsi e i romanisti col timor panico di prenderne altri sei.
Ora, mancando lo spazio, non staremo qui a dilungarci su questo o quell’aspetto tecnico della gara, sulle continue sfasature difensive che trovavano i ragazzi del Bodo Glymt sempre pronti a colpire, perché può accadere che l’ansia giochi brutti scherzi e la voglia di fare numeri buoni per il Maracanà, che stupiscano il mondo pure, ma, piuttosto, vogliamo sottolineare la quasi totale mancanza di voglia di combattere da parte giallorossa, quella voglia che tante volte, in passato, ha permesso alla Roma di ribaltare situazioni che sembravano del tutto compromesse anche da un punto di vista psicologico (Roma-Barcellona 3-0, per esempio…).
Noi raccontiamo ciò che abbiamo visto, e di questo Roma-Bodo Glymt, a parte il pareggetto acciuffato alla meglio, c’è proprio poco da raccontare in termini di giocate mozzafiato, di manovre fluide e ficcanti, di accorgimenti tattici efficaci.
Piuttosto, c’è da sottolineare la grande condizione psico-fisica dei norvegesi, che per tutta la partita li ha sorretti, consentendo loro di correre come matti ma con raziocinio, ordine, organizzazione e disciplina tattica.
Badate bene, amici lettori, che non stiamo parlando della Germania di Beckenbauer, né dell’Olanda di Cruyff, ma di una bella squadra norvegese che non è che si sia inventata chissà cosa, di un gruppo di ragazzi che giocano un calcio ‘semplice’, per quanto si possa parlare di calcio ‘semplice’ in questi contesti di livello internazionale, ma redditizio, che riesce sempre o quasi sempre a piazzare due, tre uomini in area o lì nei pressi, pronti a colpire.
Questo successe all’andata e si ripeté all’Olimpico. Ma allora com’ è che la lezione dell’andata non è stata ben compresa da chi ha messo in campo la squadra e che anche nella partita di ritorno si è assistito allo spettacolo della spavalderia norvegese, nel senso di disinvoltura nello sviluppare i propri temi di gioco e della sua spregiudicatezza nell’affrontare un avversario blasonato come la Roma, contrapposta all’abulia giallorossa, che se questa non è sfociata nell’infingardaggine (o sì?) poco ci manca.
Ma questo Amahl William Pellegrino da Drammen, Norvegia, ala sinistra e quell’Erik Botheim da Oslo, centravanti della Norvegia, da dove sono saltati fuori? Non dubitiamo che questa domanda se la saranno posta in molti durante e dopo la disfatta tra i ghiacci, e tra questi ci saranno stati anche i tecnici della Roma.
E allora perché quei due satanassi hanno fatto ciò che hanno voluto anche nella gara di ritorno? Mistero che forse sarà svelato più in là, perché è indubbio che se Mourinho e compagnia bella si fossero soffermati a riflettere di più sulle performance fornite dai due all’andata, a quest’ora è quasi sicuro che nel computo finale dei goal subiti, otto, ce ne sarebbe almeno uno in meno.
Dopo questa prova, cadono tutte le giustificazioni che, per carità di Patria, furono addotte per giustificare o quantomeno attenuare il disagio che provocò quella sconfitta dalle proporzioni gigantesche, calcisticamente parlando: il campo di plastica che assomigliava più ad un bigliardino o, se volete, ad un campetto da calcio a cinque, il freddo, le assenze, l’impiego di giocatori che non hanno mai giocato o giocato poco (quelli che un tempo venivano chiamati ‘riserve’, termine caduto poi in disuso, visti gli sterminati parchi-giocatori oggi a disposizione degli allenatori, ma tornato poi di moda parallelamente alla decisione di sfoltire le rose visto quanto il monte ingaggio incide sui costi di una società, che, nella fattispecie, è senz’altro più calzante), quei giocatori che, impiegati di rado, che quindi nel prosieguo della stagione rimarranno sempre riserve, visto che l’allenatore ‘non li vede’ titolari.
Quelle giustificazioni, dopo la squallida prova fornita all’Olimpico, sono cadute, non hanno più senso: i norvegesi del Bodo Glymt furono superiori ai giocatori romanisti e costruirono la loro vittoria senza rubare nulla, punto e basta.
Peraltro, chi pensa che i tifosi siano degli sprovveduti sbaglia di grosso, essi, come noi, hanno visto la partita quindi le balle raccontate dopo per smorzare la delusione delle legioni romaniste lasciano il tempo che trovano.
E il pareggiaccio dell’Olimpico, preso per il rotto della cuffia perché quando il pallone ha superato la linea fatale l’orologio dell’arbitro ha suonato avvisando che la sfera era entrata, serve solo ad aumentare l’amarezza della tifoseria che, arrivata in massa sotto la Madonnina di Monte Mario, consapevole della difficoltà della partita, si aspettava se non proprio un miracolo quantomeno una dimostrazione di rispetto da parte dei giocatori in campo.
A riguardo, dal punto di vista dei tifosi, solo El Shaarawy ha dimostrato di essere degno della maglia, impegnandosi allo stremo. Questo sì che è un giocatore da Roma! In questo pareggio, al di là dei meriti dell’avversaria e dei tanti demeriti romanisti, ballano però tre rigori non concessi alla Roma. Beninteso, il campo ha decretato quel risultato e va bene così, tuttavia è fuori di dubbio che, a rigori concessi, la partita sarebbe terminata con ben altro risultato: avrebbe vinto la Roma o il Bodo Glymt? Non lo sapremo mai.
Sta di fatto, però, che la sua non concessione ha pesato parecchio sul determinare il risultato finale della gara. E questa, amici lettori, è l’unica lancia che ci sentiamo di spezzare a favore della Roma la direzione arbitrale di Roma-Bodo Glymt meriterebbe una trattazione a parte. ‘Mediocre’ e ‘insufficiente’ non sono certo termini del tutto adeguati per definire il disastroso arbitraggio del signor Papapetrou.
C’è da sperare che altre squadre italiane non cadano tra le grinfie di questo incapace.
Abbiamo ribadito più volte che se in una partita ci sono gli estremi per i calci di rigore, i penalty vanno decretati siano essi due o dieci, senza se e senza ma.
Non si eliminerà mai il gioco scorretto, i fallacci da rosso, le proteste condite da piagnucolamenti, se gli arbitri non si decideranno ad essere fermi e severi applicando il regolamento alla lettera.
In ambito UEFA e FIFA, chi di dovere apra gli occhi e si accorga finalmente del pericolo che questi arbitri, piovuti da chissà dove, rappresentano per il calcio.
Ma qui bisognerebbe vedere quanto peso ha il calco italiano, perché, di sicuro, se gli arbitraggi continueranno a danneggiare le squadre italiane, come è già accaduto, significherà che la nostra federazione calcio è del tutto inascoltata, cioè conta poco o nulla, con le conseguenze facilmente intuibili.