L'infezione da Covid 19 si può fermare grazie agli antivirali e ad una nuova organizzazione territoriale
E' quanto hanno evidenziato gli esperti che si sono confrontati al tavolo organizzato da Motore Sanità dal titolo ‘IMPATTO ORGANIZZATIVO DELLE TERAPIE PER LA CURA DELL’INFEZIONE VIRALE DA COVID’ dove sono state esaminate le varie esperienze regionali
(AGR) È ormai acclarato che l’opportunità terapeutica dell’utilizzo degli antivirali contro l’infezione da Sar-Cov2 è tanto più efficace quanto prima si utilizzano tali rimedi fin dalle prime fasi dell’insorgenza dell’infezione. Le esperienze sul territorio nazionale, dalla Liguria alla Toscana alla Emilia-Romagna, dimostrano che laddove sono stati messi in campo modelli organizzativi che hanno previsto un coordinamento tra ospedale e territorio, i risultati dell’impiego precoce degli antivirali sono stati importanti. Ed è proprio sull’organizzazione a livello territoriale che si deve scommettere per fare in modo che queste terapie possono aiutare il sistema sanitario a sconfiggere il Covid. Lo hanno evidenziato gli esperti che si sono confrontati al tavolo organizzato da Motore Sanità dal titolo ‘IMPATTO ORGANIZZATIVO DELLE TERAPIE PER LA CURA DELL’INFEZIONE VIRALE DA COVID’, realizzato grazie al contributo incondizionato di GILEAD.
Dalla somministrazione del farmaco antivirale in ospedale alla somministrazione sul territorio, purché in tempi brevi, ma purtroppo esistono dei limiti concreti che attualmente che non lo permettono.
“L’utilizzo all’interno anche di un day hospital potrebbe essere una sfida futura – ha commentato Anna Maria Cattelan, Direttore Reparto Malattie Infettive e Tropicali AOU Padova -. Attualmente lo abbiamo utilizzato in regime ospedaliero, ne facciamo buon uso e dai dati che stiamo producendo osserviamo che la somministrazione precoce ci dà la maggiore garanzia in termini di risposta clinica”.
“Esistono importanti problemi non solo legati alla somministrazione di questo farmaco, che dovrebbe essere di pertinenza del medico di medicina generale quando il paziente si rivolge nella fase iniziale della malattia, ma anche alla organizzazione che ne consegue, pertanto bisogna delineare il paziente target per questo farmaco per creare così un percorso ospedale-territorio. Abbiamo strumenti importanti per mettere in campo un percorso organizzativo di questo tipo” ha spiegato Gabriella Levato, MMG Milano.
“La sfida maggiore è sicuramente quella di cercare di comporre quanto più possibile il gap organizzativo che ci può essere in una forma di coordinamento del territorio con le strutture ospedaliere – ha commentato Pierluigi Russo, Dirigente Ufficio Registri di Monitoraggio, AIFA -. L’invito alle regioni è quello di cercare di recuperare rapidamente il coordinamento tra il territorio e le strutture ospedaliere, un maggior coinvolgimento organizzativo che consenta di gestire questi pazienti con strumenti che in questo momento si stanno cercando di evidenziare e di utilizzare. L’esperienza degli anticorpi monoclonali ha reso ancor più forte l’esigenza di un maggior coordinamento tra il contesto ospedaliero e il contesto territoriale ma si tratta di affrontare il problema di gestire le terapie infusionali e di trasferire i pazienti positivi al Covid presso strutture ospedaliere. Si tratta di considerare un carico organizzativo importante ed è questa è sfida che dobbiamo cercare di vincere”.
“La terapia precoce e la precoce gestione del paziente Covid positivo ha evitato il peggioramento e ridotto nettamente il ricovero in una realtà come Piacenza, dove sono stati attivati equipaggi misti con medici ospedalieri e medici del territorio che andavano a casa del paziente, facevano l’ecografia del torace, il tampone, somministravano i farmaci a disposizione, sottoponevano a saturimetro e monitoravano in remoto – ha portato la sua esperienza Luigi Cavanna, Direttore Dipartimento Oncologia-Ematologia, AUSL Piacenza -. In questo modo abbiamo curato 90 pazienti in terapia con ossigeno a casa e abbiamo ridotto di molto i ricoveri in ospedale con i farmaci che avevano a disposizione. Questo spiega che il Covid è un evento estremamente straordinario e come comunità scientifica siamo stati in grado di dare una risposta straordinaria. Credo che sia venuta l’ora di cambiare la strategia ospedale-territorio, dobbiamo andare verso un trattamento extra-ospedaliero o misto ospedale-territorio. Oggi si deve guardare ad un nuovo piano organizzativo che risponda ai bisogni del cittadino/paziente”.
“Il 70% dei pazienti Covid ricoverati sono stati seguiti dalle Medicine interne e il trattamento con Remdesivir è stato fatto in tutti i pazienti eleggibili – ha spiegato Dario Manfellotto, Presidente FADOI –. Ora dobbiamo ripartire da quello che ci siamo lasciati indietro, circa 550-650mila ricoveri in meno di medicina interna oltre alle altre specialità rispetto al milione di ricoveri annui in Medicina di cui il 56% cronici riacutizzati; dobbiamo tener conto del follow up del paziente Covid per le conseguenze respiratorie, cardiovascolari, aterotrombotiche, neurologiche, renali; dobbiamo accrescere le competenze per una risposta sub-intensiva al momento delle emergenze; considerare l’approccio in area medica in équipe multidisciplinare e pensare a una riorganizzazione delle attività ambulatoriali stimolando la crescita della telemedicina. Infine, ospedale-territorio è un legame da rafforzare nella quale la medicina interna ospedaliera è il partner naturale della medicina generale territoriale”.
Secondo una analisi recente, fatta in base ai piani di performance pubblicate dalle aziende sanitarie pubbliche, è emerso che pur con dati di incremento per ricoveri complessivi causati dal Covid 19, il secondo semestre ha mostrato alcuni segnali di adattamento alla situazione e quindi di ripresa, sempre tuttavia in diminuzione rispetto al 2019: da circa 6milioni di ricoveri nel 2019, si passa ad una stima di 4 milioni 700 mila nel 2020 con una riduzione assoluta del 20% e ulteriore riduzione del 24,83% togliendo 238mila ricoveri Covid al 2020.
“Le percentuali di riduzione sono diverse per specialità, alcune strutture sono state capaci nel corso dell’anno di recuperare o mantenere il livello di produzione del 2019, altre strutture hanno registrato cali sensibili – ha dichiarato Davide Croce, Direttore Centro Economia e Management in Sanità e nel Sociale LIUC Business School, Castellanza (VA) -. I ricoveri per Covid-19 rappresentano una percentuale limitata al totale, ovvero circa il 4% dei ricoveri registrati nel 2019 e il 5% del 2020: occorre riprogrammare, anche se con prudenza considerando l’andamento delle vaccinazioni, costruendo nuove strutture destinandole ad hoc al Covid che siano in grado di darci certe garanzie di sicurezza che oggi facciamo fatica ad ottenere”.
C’è inoltre un altro aspetto da considerare. “Da oltre un anno non stiamo preparando in modo appropriato gli studenti di medicina e gli infermieri a causa del cambio di attività loro imposto. Anche gli specializzandi sono stati mandati “al fronte” e non frequentano più i reparti di appartenenza con delle importanti conseguenze sul futuro dei professionisti sanitari. Inoltre la mobilità extraregionale è in generale in diminuzione” ha concluso il Professor Croce.
La sfida si deve giocare sul piano organizzativo secondo Barbara Rebesco, Direttore SC Politiche del Farmaco A.Li.sa. Regione Liguria, regione che ha adottato un modello organizzativo che ha dato importanti risultati.
“Il modello in atto è stato quello di favorire il colloquio tra specialisti ospedalieri e medici di medicina generale attraverso una piattaforma: il medico di medicina generale ha la possibilità di registrare sulla piattaforma il diario clinico del paziente Covid, che viene visto dall’infettivologo e insieme valutano e studiano l’evoluzione dell’infezione. Questo si traduce nella possibilità, in caso in cui le condizioni del paziente peggiorino, di attivare in ricovero fast track che evita l’appesantimento del pronto soccorso e sgarava il paziente dell’impegno di esservi ricoverato. Questo modello, che è stato messo in atto in epoca preRemdesivir, è stato il modello vincente sia per garantire l’accesso tempestivo all’ospedale e quindi conseguentemente al Remdesivir, e ancora di più agli anticorpi monoclonali”.
In Toscana sono state create una sorta di “porte girevoli” tra ospedale e territorio, nonché fatto atti regionali e creato presupposti organizzativi perché dal territorio si potesse accedere con fast track alle terapie ospedaliere e con la stessa facilità si potesse ritornare ad un follow up territoriale.
“In questo modello che vede una sinergia tra territorio e ospedale sono coinvolti medici internisti, medici di medicina generale che si stanno occupando di prendere in carico i pazienti Covid positivi a livello molto precoce con accesso ospedaliero solo per la somministrazione degli anticorpi monoclonali e per quanto riguarda una terapia iniziale con Remdesivir - ha spiegato Claudio Marinai, Responsabile Politiche del Farmaco e Dispositivi, Regione Toscana -. Per affrontare la questione della presa in carico precoce dei pazienti Covid positivi c’è in generale un problema organizzativo da affrontare che non è solo l’organizzazione del territorio ma è l’organizzazione del rapporto tra ospedale e territorio. Potenziare il territorio, potenziando la medicina generale, è imprescindibile non solo per la situazione pandemica ma anche nel dopo pandemia, perché il territorio si dovrà far carico di terapie complesse, più complesse rispetto a quelle tradizionalmente prese in carico, perché non è più possibile una sanità ospedalocentrica”.
“Quando parliamo di farmaci innovativi e di nuovi modelli organizzativi è importante pensare alla semplificazione e al disinvestimento perché altrimenti il rischio è quello di non riuscire a mantenere il nostro servizio sanitario regionale e nazionale” ha concluso Franco Ripa, Dirigente Responsabile Programmazione Sanitaria e Socio-sanitaria. Vicario Direzione Sanità e Welfare Regione Piemonte.