Il sintomo che comunica: i Disturbi del comportamento alimentare
Tensione delicata n. 85 , 1923. (Zarte Spannung Delicate Tension No. 85 , 1923. ) Wassily Kandinsky
(AGR) Autrice: Miriam Di Nardo
Per commentare su Koinoineo:
Una volta li chiamavamo autoscatti o autoritratti, non erano uno strumento per mostrarci agli altri, ed avevano probabilmente un altro significato. Era lo specchio quello in cui molti cercavano sé stessi.
Oggi, grazie alle telecamere sempre più performanti dei nostri smartphone, è cambiato qualcosa, sempre più individui costruiscono la loro identità su aspetti estetici e direttamente osservabili. Nella società occidentale, che comunica tramite social e selfie, si creano spesso dei giudizi basati esclusivamente su aspetti formali ed esteriori della nostra immagine corporea.
Si dà spazio al fare per aderire ad aspettative e si perde la dimestichezza con le proprie emozioni e con il proprio vissuto, si perde le capacità di collegarsi con il proprio sentire, restituendo un potere sempre maggiore all’altro e una necessità sempre maggiore di aderire all'idea di perfezione. Il successo effimero, le “scorciatoie” per raggiungerlo, le mete facili ed eccezionali, le apparenze “perfette”, le frequentazioni esclusive, le mode irrinunciabili, sembrano sempre più diventare gli obblighi indispensabili a raggiungere una seppur minima accezione di sé. Alcuni studi sostengono una connessione tra le caratteristiche sociali appena elencate ed un notevole aumento di casi di Disturbi della Condotta Alimentare (DCA).
I DCA o Disturbi della Nutrizione e dell'Alimentazione (DNA) vengono definiti in ambito tecnico come disturbi “[...] caratterizzati da un persistente disturbo dell’alimentazione o di comportamenti collegati con l’alimentazione che determinano un alterato consumo o assorbimento di cibo e che danneggiano significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale”. DSM 5 Le famiglie nelle quali ritroviamo casi di DCA sembrano mostrare un'attenzione più forte agli aspetti formali di ruolo, da quello che l'altro si aspetta da noi, a discapito della persona, ai nostri bisogni ed ai segnali che il nostro corpo manifesta. I genitori in queste famiglie tendono continuamente ad anticipare e ridefinire (ridare significato) le emozioni che provano i loro bambini, portandoli in una direzione predefinita, perdendo di vista la soggettività ed aprendo a quello che potremmo definire come significato familiare dell’emozione. Raramente si fa spazio per ascoltare le caratteristiche, le necessità e le emozioni dei propri figli, si da per scontato di sapere ciò che l'altro prova o dovrebbe provare a discapito dell'empatia. Spesso le famiglie in cui ritroviamo il disturbo alimentare, notiamo da una parte una madre fin troppo presente, svalutante, ansiosa ed invadente; dall’altra un padre fantasma che fa capolino solo nei momenti di eccezionale emergenza e con un atteggiamento fin troppo autoritario . Di conseguenza si evolve un rapporto tra genitori e figli che presenta un legame di “attaccamento ambiguo o confuso”. Questo caratteristico contesto familiare spesso facilita lo sviluppo di ciò, che è stata chiamata in letteratura , “sensibilità al campo” o campo-dipendenza .
Alcuni autori chiamano “contestualizzate” questi tipi di personalità che mirano, con una sintonizzazione sull’esterno, a controllare quanto accade sia dentro che fuori di sé; anche se proprio quello che accade al di fuori di sé viene vissuto e percepito come un qualcosa di imprevedibile e dovuto al caso, ad una coincidenza fortuita: questa modalità di orientarsi verso l’esterno viene chiamata “outward”. Fin dall’infanzia, le persone che in futuro svilupperanno un DCA, per essere accolti e risultare efficaci imparano a conformarsi al contesto, ad accondiscendere e mettere da parte le proprie sensazioni. Senza avvicinarsi ai propri bisogni sviluppano un senso di sé vago ed indefinito; gli stati interni vengono percepiti con difficoltà e considerati inattendibili. Le emozioni e le sensazioni personali non vengono né ascoltate né valutate, così il bambino, l’adolescente e in seguito l’adulto, si affida prevalentemente alle figure di riferimento presenti, che sono comunque altro da sé, per avere un senso di sé sufficientemente stabile e coerente. In questa situazione la persona si sente non riconosciuta, non vista e non capita, quindi, non valida, non adeguata, negativa e sviluppa una bassa autostima compensata solo da una necessità di perfezionismo collegato un pensiero dicotomico giusto/sbagliato o tutto/nulla. L’approvazione dell’altro è fondamentale e viene considerata come punto di riferimento. Le disconferme effettuate dall’esterno sono affrontate come un attacco alla propria persona. Tutto diventa una prestazione, un dover dimostrare di essere all’altezza per potersi guadagnare l’approvazione dell’altro. Emozioni di base, come paura, rabbia e gioia vengono disconosciute e non considerate, con il timore di non ricevere la conferma tanto desiderata, diventano sempre più frequenti emozioni secondarie costruite dal giudizio e definite dal rapporto con l’esterno, generate dal confronto come la vergogna, la colpa e l’imbarazzo. I DCA hanno prevalentemente un esordio psicopatologico proprio nel periodo adolescenziale. Il contesto familiare sopra descritto e le caratteristiche di personalità appena accennate fanno sì che il normale processo di individuazione e differenziazione dai propri familiari diventi complicato, difficile e variegato di sensi di colpa e vergogna, nonché costellato da doppi legami e invischiamenti. Le relazioni sociali si trasformano in fonti di ansia e fatica, diminuisce la ricerca di contatti umani che esulano dall’ambiente familiare protetto e conosciuto e aumenta un evitamento, prima selettivo, poi sempre più generalizzato di situazioni che richiedono l’esposizione, l’espressione e la definizione di sé stessi. L’estrema insicurezza e confusione interiore viene comunicata con il sintomo che si può vedere, come la punta di un iceberg che permette di esprimere il proprio sentire. Il concentrarsi sul cibo e sull’aspetto fisico è un tentativo disperato di spostare ulteriormente all’esterno i problemi interiori per favorire un evitamento con le tanto temute emozioni. L’adolescente rimane così vittima della propria immagine e dalla propria esposizione al giudizio e al confronto con gli altri.
Come intervenire e restituire un equilibrio emotivo? Il percorso terapeutico in ambito cognitivo comportamentale post-razionalista, l'approccio che ritengo maggiormente efficace, vuole dare gli strumenti per “conoscere” e “ri-conoscere” i propri stati interni, così evitati e messi da parte, esorta la persona a fare attenzione a quello che le accade, per poi rileggerlo dal proprio punto di vista. Si effettua la “Moviola”, una ricostruzione guidata dell’esperienza per permettere la messa a fuoco delle emozioni tramite una sequenzialità delle esperienze fatte. Ovvero, si costruisce una narrazione degli eventi con una coerenza tra gli eventi stessi e si viene a contatto con un prima e un dopo, una causa e un effetto. E come un regista, il terapeuta utilizza la macchina da presa: rallenta, va avanti, torna indietro, chiede informazione, fa fermi immagine e zoom sulle emozioni sperimentate per realizzare un’attenta osservazione del materiale quotidiano. La persona, così inizia a vedersi come punto di riferimento, come una bussola, pone attenzione al suo vissuto che inizia ad essere da guida per sé stesso, viene a contatto con le sue percezioni e con le sue personali, uniche e irripetibili necessità e desideri che per un lungo periodo di tempo sono state anticipate o imposte. Seguendo questo approccio si cerca, quindi, di favorire una comunicazione verbale basata sulla percezione e la consapevolezza delle proprie emozioni, e non più basata sul sintomo, la persona tramite il suo sentire, e le sue emozioni guarda e dà significati, mentre il sintomo, con il tempo, diventa silente perché non ha più ragione di esistere.