Emergenza sanitaria sostegno ai lavoratori e sospensione parziale della attivita’
Emergenza sanitaria sostegno ai lavoratori e sospensione parziale della attivita’
(AGR) Gli ultimi giorni di emergenza sanitaria legata al Coronavirus hanno portato sulla scena del pubblico dibattito alcune novità importanti per gli archeologi italiani. A stretto giro uno dall’altro sono stati emanati due provvedimenti normativi significativi: il Decreto Legge 17/03/2020 n. 18 “Cura Italia” – contenente misure di sostegno per i lavoratori e aiuti per sostenere l’economia del paese – contenente aiuti per i lavoratori; e il DPCM del 22 marzo 2020 “Nuove misure urgenti per il contenimento del Coronavirus” – che prevede la chiusura delle attività “non necessarie” al funzionamento del paese in questa grave emergenza sanitaria.
Tra le misure di sostegno ai lavoratori va sicuramente evidenziata quella del contributo di 600 euro alle partite IVA iscritte alla gestione separata dell’INPS: è la prima volta che ammortizzatori di questo tipo sono previsti dal legislatore per questa categoria professionale. Dario Di Vico (Corriere della Sera) e Andrea Dili (Presidente Confprofessioni Lazio) hanno sottolineato come l’eccezionalità di questa misura, a prescindere dall’elemento quantitativo (se, cioè, 600 euro siano molti, pochi o giusti), costituirà in futuro uno di quei precedenti (positivi) dai quali non sarà possibile tornare indietro.
Ieri invece è stato licenziato il testo del DPCM 22 marzo 2020 che prevede le (più volte annunciate) misure di riduzione dell’attività lavorativa: ad esclusione delle attività in forma di “lavoro agile” (smart working) sono consentite solo quelle incluse in una specifica lista (“Allegato 1” al DPCM) individuata dai tecnici del Governo per garantire la continuità dei servizi ritenuti in questo momento essenziali per il paese (energia, filiera alimentare, settore medico-sanitario e poco altro).
Per gli archeologi, quindi, verranno chiusi tutti i cantieri edili differibili (e sono una bella fetta del settore) ma resteranno aperti i cantieri di servizi e sottoservizi essenziali e/o strategici (che purtroppo mostrano anche il più alto profilo di criticità rispetto all’osservanza delle norme sanitarie di sicurezza, come abbiamo più volte evidenziato nei giorni scorsi, anche attraverso le segnalazioni pervenute allo sportello dedicato).
Diversi colleghi hanno applaudito la decisione del governo di inserire alcune tipologie di servizi archeologici (previsti per alcune delle attività sopra menzionate) tra quelli “essenziali”, traguardando così la possibilità di spuntare tariffe migliori nelle future contrattazioni professionali. Ma è una posizione che non ci convince.
L’ANA ha sempre creduto nell’importanza del nostro lavoro per la collettività di cui facciamo parte, e ha sempre avuto molto chiaro il ruolo tecnicamente cruciale dell’archeologo in alcune tipologie di cantieri. Non siamo quindi affatto sorpresi di vedere riconosciuto questo ruolo ritrovando nell’ “Allegato 1” anche i servizi degli archeologi: ci saremmo stupiti invece molto del contrario. Perché avrebbe significato che nell’emergenza si sarebbe proceduto in deroga alle normative nazionali di tutela, magari per consentire rapidità di esecuzione ai lavori. Possiamo invece essere soddisfatti del fatto che dentro il Governo ci sia stato qualcuno che ha mantenuto ferma la posizione sul rispetto delle normative. E potremmo anche pensare che in questo ci sia lo zampino delle associazioni di categoria, che da settimane battono con forza su un tasto preciso: cantieri aperti ma solo se in sicurezza. Lo abbiamo detto e ripetuto più volte, e talmente il concetto è ormai chiaro al Ministero dei Beni Culturali che pochi giorni fa il Capo di Gabinetto del Ministro Franceschini, Lorenzo Casini, in una nota inviata in risposta a una denuncia dell’ANA e della Federazione delle Consulte Universitarie di Archeologia, ha tenuto a precisare che ogni precauzione è stata adottata per gli “archeologi impegnati nei cantieri di diretta competenza di questa amministrazione”, ma purtroppo “il Ministero non può disporre chiusure o rinvii dei lavori in cantieri privati”. Una risposta che se non ci aiuta direttamente rispetto alle problematiche di sicurezza sul lavoro in questa fase emergenziale, perimetra però il campo di azione del ministero e chiarisce gli ambiti di intervento.
Possiamo quindi esprimere per lo meno una moderata soddisfazione per aver trovato nel DPCM il necessario riscontro alla natura essenziale che riveste il lavoro dell’archeologo nel grande meccanismo della rete infrastrutturale nazionale. Ma non possiamo illuderci che questo possa portare, di per sé, ad alcun miglioramento nelle tariffe per gli archeologi professionisti. Queste, infatti, ad oggi sono molto basse non tanto (o non soltanto) per una presunta mancanza di riconoscimento dell’essenzialità del lavoro dell’archeologo - ormai è noto quali effetti causi al cantiere il blocco dei lavori richiesto per le azioni di tutela archeologica-, riconoscimento di valore che spesso latita proprio tra gli stessi professionisti. Le tariffe alle quali gli archeologi oggi lavorano sono basse invece soprattutto per un tardivo riconoscimento normativo della figura professionale, che ha influito su percezioni e comportamenti difformi nei diversi soggetti con cui l’archeologo professionista si confronta a diversi livelli (università, ministero, etc…). Questo accade peraltro in uno scenario nel quale manca da tempo una diffusa solidarietà tra le diverse figure dell’archeologia, che sentono di appartenere a mondi diversi e fatalmente in contrapposizione: funzionari e ministeriali da una parte; universitari accademici da un’altra; professionisti da un’altra ancora; ditte e imprese a chiudere il cerchio. Una nota positiva in questa fase di emergenza è la sensazione che forse qualcosa, non ancora diffusamente purtroppo, sta cambiando: per lo meno è capitato di vedere messaggi di vicinanza ai professionisti anche da parte di altri mondi dell’archeologia.
Siamo orgogliosi di appartenere ad un’associazione di categoria che fin dalla sua fondazione si è posta l’ambizioso obiettivo di rappresentare tutti gli archeologi, “a prescindere dall’ambito nel quale svolgono il proprio lavoro”. Circa l’unificazione delle voci nella rappresentanza della categoria sono stati fatti passi avanti negli anni, e anche qualche passo indietro. Oggi questo concetto non è ormai più sul tavolo, e da questo nasce uno dei più grandi limiti dell’archeologia come settore professionale: l’incapacità di fare squadra che è causa della “centuriazione” del settore. In uno schema del genere, il professionista negli anni è stato lasciato solo e, fino a pochi mesi fa, senza alcuno strumento normativo utile a proteggere la propria professionalità. Su questo è intervenuto il DM 244 del 2019, e non è un caso che sia figlio della forte pressione che solo le associazioni di categoria sono riuscite ad esercitare sulla politica (che comunque si è presa i suoi tempi).
La tutela degli archeologi, tutela anche economica, non può quindi passare per fenomeni esterni alla categoria: gli archeologi devono trovare al proprio interno la forza di imporre al mercato condizioni eque di trattamento economico, e non possono farlo che attraverso l’azione delle associazioni di categoria. Ogni velleità individualistica è da abbandonare a favore di un basilare principio di organizzazione collettiva.
Oggi si apre una nuova fase lavorativa nel nostro paese, condotta in emergenza e con tutte le cautele per impedire la diffusione del contagio. Per questo l’ANA vigilerà attraverso i propri rappresentanti regionali e territoriali sul rispetto delle normative di sicurezza e interverrà direttamente a tutela degli archeologi segnalando alle autorità competenti ogni violazione di cui verrà a conoscenza. Per questo resta aperto lo sportello dedicato consultabile scrivendo alla casella emergenzavirus@archeologi.org.