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Spettacolare kermesse all’Olimpico di Roma con danze, coreografie ed esecuzioni eccellenti, canti e cori delle due tifoserie.

La cerimonia d’apertura del campionato europeo di calcio

printDi :: 15 giugno 2021 14:34
Spettacolare kermesse all’Olimpico di Roma

Spettacolare kermesse all’Olimpico di Roma

(AGR) La cerimonia di apertura del campionato di calcio europeo, frutto del gran lavoro di preparazione e gestita da un’organizzazione perfetta, è scivolata via senza intoppi e o sbavature. Nel progettare l’evento, non poteva non essere tenuta nel debito conto la storia di questi ultimi due anni, permeata dalla tragedia del covid19, e, nello stesso tempo, era fondamentale che partissero dal calcio, quale fenomeno sportivo e sociale planetario, quei messaggi di rinascita, che si attendeva arrivassero da tanto tempo. che spazzassero via timori, paure e restituissero fiducia nel futuro. Iniziata con il saluto di Totti e Nesta al pubblico, all’Italia e all’Europa, la cerimonia è proseguita con ‘La fanfara finale della sinfonia del ‘Gugliemo Tell’ di G. Rossini magistralmente eseguito dalla banda della Polizia di Stato in uniforme risorgimentale. Le potenti note del crescendo rossiniano sono risuonate nell’ Olimpico, chiaro messaggio di augurio per la ripartenza del nostro Paese.

A seguire, ventiquattro grandi palloni con i colori delle partecipanti invadono il terreno di gioco e subito dopo arrivano ballerini, fuochi d’artificio e suonatori di tamburo. ‘I tamburi della rinascita stanno chiamando’, ‘Possiamo di nuovo volare alto con i nostri pensieri e la nostra musica’: in quale altro modo interpretare le coreografie che si sono susseguite sul prato e nel cielo dello stadio Olimpico di Roma prima della partita inaugurale Turchia-Italia, quasi a volersi riprendere quella parte del firmamento che ci è stata rubata da eventi, ineluttabili nel loro accadimento, che l’umanità è riuscita a contrastare e battere pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane? Poi, Andrea Bocelli lancia all’Italia un altro chiaro messaggio beneaugurante con la coinvolgente esecuzione del ‘Nessun dorma’, la celeberrima romanza della Turandot di G. Puccini e, subito dopo, i ventiquattro palloni si raggruppano in un grande grappolo, a simboleggiare unità e spirito di pace del torneo.

 
Eseguito dagli U2 in una sorta di concerto virtuale riversato sul terreno dell’Olimpico grazie a dispositivi ad alta tecnologia che permettono un’integrazione fra realtà fisica e mondo digitale, il brano ‘We are the people’ di Martin Garrix, Bono e The Edge chiude la cerimonia. Nel suo scorrere, i volti dei cantanti si mischiano ai simboli delle squadre partecipanti: è il trionfo della tecnologia della realtà aumentata. La canzone è un chiaro messaggio di unità, uguaglianza e pace tra i paesi ed è stata adottata come inno del torneo. L’occasione era quella giusta per evitare la solita paccottiglia scintillante ed è stata colta. Chi si aspettava il solito ciarpame in stile hollywoodiano o del tipo ‘guardate quanto siamo belli noi’, è rimasto sicuramente deluso. Niente spavalderie, che sarebbero apparse fuori luogo, visto il lungo periodo tragico vissuto in ogni dove, non solo qui da noi, nessuno sfarzo, nessuna pacchianeria e soprattutto nessuno spreco. Arte e cultura, policromia, musica e festosità, prodotti che qui in Italia vengono sfornati da secoli ed in grande abbondanza, sono state sapientemente miscelate e condensate in una cerimonia di breve durata ma, tenuto conto del particolare momento in cui si è svolta, elegantemente sobria. Non appena l’Olimpico ha aperto i cancelli, i tifosi si sono riversati sulle sue gradinate. Fino a che il Covid 19 li aveva resi deserti, andare allo stadio, sedersi, vedere la partita facendo il tifo per la propria squadra, magari urlare a squarciagola la propria gioia per il pallone entrato nella porta avversaria, era una cosa del tutto normale. Poi, su tutto, calcio compreso, è scesa la notte: niente più pallone per un bel pezzo, campionati interrotti, europeo spostato al 2021, sperando di poterlo disputare, virus permettendo. Timidamente, quasi con circospezione per la paura di ricadute, dopo quella quaresima forzata, le squadre hanno ripreso a giocare.

Bello, sì, dopo l’astinenza da football durata fin troppo tempo. Ma giocavano in stadi vuoti, in un’atmosfera irreale, non solo per chi disputava la partita ma anche per i milioni di tifosi incollati ai teleschermi, ai computer o ai what’s app. Negli stadi deserti risuonavano solo le voci degli addetti ai lavori: giocatori, allenatori, tecnici, arbitri. Dopo un po’ la gente si abitua a tutto, anche a seguire partite giocate in stadi deserti. Certo, the show must go on, lo spettacolo deve continuare, ma che tristezza vedere coppe europee e campionati giocati a porte chiuse! Eh già, perché senza pubblico lo stadio non vive. Se i giocatori, top player o meno che siano, contribuiscono a riempirli, è il pubblico che fa emergere l’anima degli stadi, li fa vivere: l’urlo di Wembley, il ruggito del Bernabeu, la parete invalicabile del Borussia Dortmund, i cori del Maracana, quelli che risuonano negli stadi della Roma e del Liverpool e in tanti, tantissimi altri: ogni stadio ha sue caratteristiche, appellativi e soprannomi che si portano dietro si può dire dalla loro nascita. E se poi togli i tifosi, uno stadio è solo una costruzione che sta lì ma non serve a nessuno. È una cosa triste uno stadio vuoto, anche se in campo a giocare ci sono ventidue fuoriclasse.

Ad un certo punto, tornare allo stadio sembrava un’utopia. E le utopie non sono tali se si realizzano. Stavolta, invece, l’utopia è stata retrocessa prima a sogno irrealizzabile, poi a forte desiderio ed infine si è trasformata in qualcosa di concreto e reale: di colpo, gli stadi tornano a riempirsi. I tifosi italiani fanno il loro ingresso nell’Olimpico insieme ai mille o più tifosi turchi che hanno invaso Roma, e a San Pietroburgo, Londra, Copenhagen e Bucarest è successa la stessa bellissima cosa: risentire quei cori, rivedere migliaia di volti devastati dalla delusione – dai, vi rifarete alla prossima partita -, o inebriati di gioia ci ha fatto capire che ormai il peggio è passato, che il maledetto tunnel è alle nostre spalle, che la policromia è rientrata negli stadi insieme ai peana delle tifoserie. Adesso sì che gli stadi hanno di nuovo l’anima!                                                                                                                                                                                                                                                                                                

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