Sean Connery
Il mito 007
(AGR) Non deve stupire se, a qualche settimana dalla sua scomparsa, ricordi e rimembranze di Sean Connery trovano ancora largo spazio nei media on line e off line, specializzati o meno. Come noto, si raccoglie ciò che si semina e Sean Connery, nella sua lunghissima vita professionale ha seminato e raccolto tantissimo.
Ne testimoniano i suoi sterminati curricula di attore di cinema, teatro e televisione, di doppiatore, regista, produttore, le esperienze discografiche e la sua vastissima bacheca, nella quale trova posto un numero sconfinato di premi cinematografici, televisivi, teatrali, alla carriera, oltre a prestigiosi riconoscimenti accademici e onorificenze di vario genere.
Sean Connery, dunque, non è stato una semplice icona dello show business, ma un uomo vero che pur nel fulgore dei suoi trionfi, è rimasto sempre sensibile alle tematiche sociali. Nella sua lunga carriera d’attore, sviluppata tra cinema, teatro e televisione, Sean Connery ha interpretato oltre un centinaio di personaggi, ha prestato la sua voce ad altri attori e, in veste di regista, ne ha diretti altri ancora.
Una folla di personaggi interpretati sempre con maestria, che hanno riempito la sua vita professionale.
Sean Connery attore a tutto campo, quindi, la cui fama, più che dalle interpretazioni del giovane industriale vedovo Mark Rutland (Marnie), o dal tosto poliziotto Malone (Gli intoccabili), gli è arrivata addosso fin dal suo primo James Bond ‘Agente 007, licenza di uccidere’. Piombato nelle sale nei primissimi anni ’60 come un autentico uragano, quel personaggio ha sfondato subito. Grazie soprattutto, alla straordinaria interpretazione di Sean Connery, ‘James Bond’ si è imposto quasi subito al pubblico, emergendo con forza nel filone ‘spionaggio’, che all’epoca andava per la maggiore, pur proponendo film di qualità piuttosto scadente, zeppi come erano di americanate e spacconate.
Erano filmetti tutti uguali, che si sapeva già tutto fin dall’inizio: stesse scene, dialoghi e scenari, sottoprodotti che non valevano neanche la pellicola con la quale erano stati girati. Scazzottate uno contro dieci? Vinceva lo spaccone, naturalmente: lui nemmeno un graffio, gli altri tutti all’ospedale.
Niente a che vedere con l’arte di fare cinema Tra i tanti film di quel genere sfornati negli anni ’60, il pubblico ha subito riconosciuto il prodotto ‘buono’, quello cioè per cui valeva la pena pagare il biglietto, rifiutando spaccatutto americani in grado di sferrare poderosi e mortali destri e sinistri ai malcapitati di turno, invulnerabili anche alla bomba atomica, decretando invece il trionfo dell’agente britannico perché James Bond era diverso, era ‘umano’: ne dava e ne prendeva, tante e di santa ragione.
Insomma era uno ‘normale’, che magari tra il pubblico in sala c’era chi, come quelli della mia generazione, all’epoca ragazzini di tredici, quattordici anni, pensava che ‘quelle cose lì posso farle anch’io, se mi ci metto’.
Tra chi costruiva i film di James Bond e il pubblico c’era una specie di accordo, non scritto ma evidentissimo, tacito si potrebbe dire: ‘amici, quello che vedete sullo schermo sono storie immaginarie, buone per trascorrere un paio d’ore’.
Capita l’antifona, gli spettatori si gustavano il film e alla fine sfollavano soddisfatti, avendo ben impresse nella mente quegli scenari da favola offerti da Bahamas e Cayman, spettacolari cornici delle avventure del nostro eroe, che non facevano altro che alimentare la voglia matta di andarci, uno dei tanti sogni da realizzare al più presto possibile o non appena raggiunti i diciotto anni d’età, e le irresistibili battute ironiche, all’occorrenza micidiali e sprezzanti, che il nostro eroe pronunciava mentre amoreggiava a tutto spiano o dopo aver eliminato giganteschi nemici o, ancora, mentre era prigioniero o sepolto in una pipeline o intento a giocare a golf.
Battute che, ne siamo sicuri, rimarranno nella storia del cinema, insieme all’inconfondibile musica di ‘James Bond Theme’, quella specie di mantra iniziale che fa da sfondo alle poderose note del basso elettrico, seguite da altre sparate da trombe che sembrano quelle del giudizio universale, in una fantastica sequenza musicale ormai indelebilmente impressa nelle menti di almeno due generazioni.
Un gigantesco jingle che, sebbene conosciutissimo, arrivava sempre graditissimo a fare da introduzione al film. Gli James Bond non-Connery sono stati una dozzina, più o meno, ma mentre alcuni sono stati interpretati con indubbia bravura, altri non sono andati al di là di dignitose performance: se uno James Bond era troppo ‘inglese’, un altro era troppo ‘americano’ e altri ancora, la maggioranza, non erano proprio adatti a quel ruolo.
Ci si chiede perché mai e la risposta è fin troppo semplice: ad ogni nuovo James Bond che usciva, il pubblico andava subito al paragone con quello originale, unico e inimitabile, di Sean Connery. Come narrano le cronache, pare che la decisione di scegliere l’attore scozzese come interprete dell’agente britannico, arrivò dopo lungo e periglioso travaglio: in pole position c’erano attori di fama ormai consolidata, più ‘papabili’ di Sean Connery per quel ruolo, che a motivo della loro popolarità, avrebbero potuto garantire il successo del film.
Cosa farsene di un attore sconosciuto alle grandi platee quando c’era a disposizione il grande David Niven? Non solo: il primo film della serie ‘007 licenza di uccidere’, alla sua uscita fu bersagliato da recensioni feroci che ne stigmatizzavano la scarsa qualità dell’interprete e della storia, relegandolo a livello di paccottiglia qualitativamente da quattro soldi: ‘non è adatto’ ‘è poco inglese’ le critiche più benevole.
Come universalmente noto, nonostante i tanti giudizi poco lusinghieri elargiti con generosità dai cosiddetti esperti, strada facendo il film fu un trionfo d’incassi e fu l’inizio del mito Sean Connery. Grazie, Sean. Riposa in pace.